domenica 31 luglio 2016

INTERVISTA A LOREFICE: IO, I GIOVANI A CRACOVIA E PADRE PUGLISI


"A Cracovia si respira un grande senso di fratellanza. Si parlano tante lingue diverse, ma ci si incontra e ci si capisce". L’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, in questi giorni nella città polacca in occasione della Giornata mondiale della gioventù, racconta così le sensazioni avvertite. Suo principale impegno, quello di tenere alcune catechesi. Lo hanno ascoltato in diversi momenti all’interno delle parrocchie o all’aperto sia giovani siciliani sia seicento ragazzi trentini, rimasti affascinati dalle parole dell’arcivescovo che ha presentato loro l'esempio e l'impegno di padre Pino Puglisi. Poi, in un secondo momento ha risposto alle loro domande. «Nonostante ci sia un grande dispiegamento di forze, questa Gmg è un bel segno di speranza per il mondo intero – racconta Lorefice -. Qui si respira la bellezza del Vangelo e di una Chiesa che è un segno di comunione e unità per l’intera famiglia umana».

Quali temi ha affrontato durante le catechesi con i giovani?
«Nel primo giorno ho incontrato i ragazzi del Trentino. Erano circa seicento. Prima hanno riflettuto sulla parabola del padre misericordioso. L’hanno attualizzata con dei contenuti molto precisi. Poi hanno fatto delle domande in modo da potere approfondire i loro interessi reali. Così ho parlato del primato del perdono, perché Dio è misericordia. E quindi, di come si fa a perdonare, che cosa comporterebbe come scelta di vita. Il secondo giorno, a partire dal Vangelo di Matteo, ho fatto riflettere i ragazzi sull’importanza di essere concreti nella nostra vita attraverso il rapporto con Cristo, per riconoscerlo in chi ha fame, in chi ha sete. Questi due brani hanno segnato questi momenti. La particolarità è stata quella di scegliere un linguaggio narrativo e di riportare esperienze personali e testimonianze di fede di discepoli significativi. E così ho parlato anche di don Pino Puglisi». 
Che cosa ha affascinato i ragazzi dell’esempio di vita di padre Puglisi?
«Di padre Puglisi ha colpito il sorriso da mite con il quale è morto. Ho parlato di lui ai ragazzi del Trentino e poi ai siciliani. Ho detto che sulla tomba di don Pino ho trovato la stessa frase tratta dal Vangelo di Giovanni 15,13 che è stata posta sulla tomba di un altro martire, monsignor Romero, in El Salvador: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Parlando ai ragazzi ho invertito i numeri dello stesso Vangelo 13,15 che presenta il momento della lavanda dei piedi in cui Gesù dice: “Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. Così emergono due frasi programmatiche e complementari”.
Tramite lei che cosa ha portato padre Puglisi in Polonia?
«Qui sono tutti affascinati dalle parole su don Puglisi per la sua ordinarietà. È una figura che coglie nel pieno il cuore, perché è stato un educatore capace di evocare nella coscienza delle giovani generazioni un’identità filiale che rende liberi. E lo ha fatto con una testimonianza ordinaria, con una mitezza, una povertà e una semplicità evangelica che è il piatto sul quale offrire la bellezza del Vangelo».
Quali sono state le reazioni dei giovani al termine delle catechesi?
«Dopo che ho finito di rispondere alla prima domanda si è alzato un ragazzo e ha detto che tornando in Sicilia si sarebbe sposato con la propria fidanzata. Una risposta al mio invito a non imborghesirsi, a lavorare sodo nella sequela di Cristo. Lo stesso ragazzo ha anche capito che il proprio “io” e il proprio risentimento non devono vincere, ma deve prevalere la grazia. Un padre siciliano, invece, ha raccontato che 4 anni fa veniva da esperienze di tossicodipendenza, ma grazie a un incontro come questo il Signore è entrato nella sua vita e adesso è qui con suo figlio. Io ho spiegato che il cristianesimo non è una dottrina o un insieme di norme, ma una relazione personale con Dio che cambia la nostra vita. Quindi, è bello che ci siano state testimonianze dirette di ciò».
Che cosa porteranno via i ragazzi da Cracovia?
«Porteranno con sé non solo un’esperienza emotivamente forte. Ho notato che c’erano giovani che si sono preparati a quest’evento. La Gmg non è estemporanea rispetto al vissuto. Oggi il tema della misericordia ha una portata enorme in questa realtà mondiale di grande paura. Qui si vede: c’è un dispiegamento di forze enorme e anche noi vescovi, quando andiamo agli incontri con il Papa, passiamo da controlli attenti. Credo che i ragazzi portino via non una predica, ma una sostanza di vita che, se verrà custodita e alimentata attraverso le esperienze nelle diocesi, avrà efficacia». 
Secondo lei, qual è il senso del silenzio del Papa ad Auschwitz?
«È il silenzio di Dio, che resta sempre nella storia degli uomini come provocazione. È un silenzio che guarda la storia in dimensione messianica di riscatto dal male e dalla violenza, perché sa che la risurrezione di Gesù è l’inizio della nuova creazione. Quindi, è un silenzio di solidarietà con le vittime di ogni tempo, ma anche un silenzio di speranza». 
Lei a Palermo ha già condiviso alcuni momenti significativi con la comunità musulmana. Adesso arriva la richiesta degli imam di partecipare anche in Italia alla messa domenicale di oggi, in segno di vicinanza alle vittime del terrorismo. Come considera questo gesto? 
«È un segno molto bello. Il dialogo è l’unica strada da percorrere. Nel nome di Dio non si può fare guerra o violenze. Come a Palermo anche a Cracovia diverse comunità islamiche hanno chiesto di partecipare all’Eucaristia domenicale. Mi pare un segno efficace come messaggio da trasmettere: ogni religione è tentata da violenza ma ha bisogno di purificarsi. Mi è di grande consolazione il fatto che i fratelli musulmani abbiano questa sensibilità. Perché i terroristi non sono musulmani e non hanno niente a che vedere con la fede. Come ogni cristiano che volesse seguire la via della violenza non ha niente a che vedere col Vangelo. Lo stesso vale per i mafiosi». 
Filippo Passantino
Giornale di Sicilia 31 luglio 2016

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