Via dei Georgofili a Firenze dopo l'esplosione nel 1993 |
di Francesco Deliziosi
Giuseppe e Filippo Graviano mandanti, esecutori Gaspare Spatuzza, Salvatore
Grigoli e gli altri uomini del gruppo di fuoco di Brancaccio: sono stati
condannati con sentenze definitive per l'omicidio di padre Puglisi ma anche per
le bombe dell'estate del '93 tra Firenze, Roma e Milano. Gli stessi uomini
lanciarono la strategia della tensione ed eliminarono il parroco di Brancaccio
(il 15 settembre). Di quegli attentati si è tornato a parlare in questi giorni
per l'inchiesta della Procura di Palermo che cerca di fare luce sui contatti
Stato-mafia tra il '92 e il'93 e per la quale è stato interrogato al Quirinale
il presidente Napolitano. Si discute sulla trattativa che - secondo l'ipotesi
dell'accusa - portò esponenti politici dell'epoca a intervenire per cancellare
il carcere duro inflitto a centinaia di boss detenuti. In cambio di una
sospensione delle stragi.
In questo crocevia della Storia si trovò il parroco di Brancaccio: le
ricostruzioni più aggiornate tendono a inserire il delitto in una strategia di
intimidazione e vendetta della mafia contro la Chiesa, un bersaglio inedito che
si affiancò allo Stato, "reo" di avere reagito duramente all'eliminazione di
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Alla Chiesa si rimproverava invece la
svolta di Giovanni Paolo II e il suo anatema nella Valle dei Templi.
Di recente, le intercettazioni di Totò Riina in carcere hanno rivelato
l'ira e l'odio del "capo dei capi" sia contro Papa Wojtyla per la sua presa di
posizione ad Agrigento che contro padre Puglisi che operava nel territorio
mettendo in discussione il potere del clan di Brancaccio. Tanto che le minacce
di morte contro don Luigi Ciotti vengono collegate da Riina al parroco ucciso di
cui il fondatore di Libera "è una stampa e una figura". Altre intercettazioni
rese note in passato segnalavano che l'anatema di Wojtyla venne considerata una
"sbrasata" (uno sconfinamento, una sbruffonata) da boss vicini a Bernardo
Provenzano. Collaboratori di giustizia hanno riferito che in quel periodo del
'93 i fratelli Graviano "facevano discorsi accaniti contro la Chiesa".
La Chiesa di San Giorgio al Velabro prima e dopo l'attentato |
Ma già subito dopo il delitto Puglisi non mancarono i collegamenti con le
bombe dell'estate '93. Fu il cardinale Camillo Ruini, il 20 settembre, a parlare
esplicitamente di un legame nelle strategie della mafia fra il delitto Puglisi e
gli attentati (che avevano tra l'altro colpito San Giovanni in Laterano, che era
la sua sede in quanto vicario del Papa a Roma). Parlando a Siena, all'incontro
autunnale della Conferenza episcopale, il Cardinale disse: "Don Puglisi era un
prete esemplare, che ha testimoniato con la realtà della sua vita e della sua
stessa morte come la Chiesa sulla via che conduce da Cristo all'uomo non possa
essere fermata da nessuno".
Proseguì poi il presidente della Cei: "Non solo a Palermo una mano
criminale ha colpito direttamente la Chiesa, ma anche nella capitale. San
Giovanni è il cuore della Roma cristiana. Non consideriamo questi attacchi alla
Chiesa come disgiunti dagli altri che hanno ancora insanguinato il nostro Paese.
Vi è infatti non solo una unità nel disegno criminale, ma anche un intimo legame
tra la Chiesa e l'Italia". L'analisi si allargava infine al vorticoso periodo di
Tangentopoli: "La Chiesa andrà avanti annunciando il Vangelo, quale che sia il
prezzo da pagare. Per quanto riguarda l'Italia siamo entrati in una fase nuova
della nostra storia, nella quale - giorno dopo giorno - quella che viene
chiamata questione morale si rivela piu' ampia, piu' profonda, piu' radicale. E
accanto a essa prende sempre piu' rilievo anche quella che possiamo definire una
nuova forma di questione sociale". Disse acutamente in quei giorni padre
Bartolomeo Sorge: "La criminalità organizzata ha perso lo Stato, sta perdendo
gli agganci con la politica. Ha perso anche la Chiesa, nel senso che sono state
fatte scelte irreversibili e chiare" (Repubblica 17 settembre ’93).
Ancora più netto il giudizio del gesuita al Corriere della Sera del 3
dicembre ‘93: con riferimento al vocabolario dei mafiosi, padre Sorge parla di "sgarro"
per cogliere le motivazioni di una reazione a suo avviso perdente ma sempre piu'
sanguinaria: "Infatti dopo le bombe abbiamo avuto l' omicidio di padre Puglisi".
Erano trascorsi appena otto minuti dalla mezzanotte del 28 luglio quando la
bomba di San Giovanni feri' 14 persone. E sei minuti prima, sempre a Roma, a San
Giorgio al Velabro, era esplosa un' altra carica di esplosivo. Il tutto
contemporaneamente all' attentato di via Palestro a Milano. Padre Sorge, che
dello "sgarro" ha parlato anche in una intervista a "Narcomafie", il periodico
del gruppo Abele, non esclude che nella "notte delle bombe" si siano mobilitate
"altre componenti, a cominciare da elementi della criminalita' internazionale".
Ma, soprattutto per quanto riguarda l' attentato a San Giovanni, "e' certa la
reazione al coraggio profetico del Papa di maledire apertamente Cosa Nostra". A
Palermo padre Sorge ha imparato a riconoscere gli atteggiamenti di un certo
mondo: "La mafia ai suoi adepti insegna che chi riceve uno "sgarro" non puo'
subirlo in silenzio, pena la perdita della faccia".
A Palermo, “essendo venuto dall' esterno, posso dire di aver trovato un
ambiente in cui il cardinale Pappalardo aveva gia' abbondantemente smosso le
acque... Ma fra convegni, dibattiti e continui rapporti con la gente ho potuto
assistere alla transizione: un pezzo di Chiesa, come un pezzo della societa'
siciliana, e' passato da antichi condizionamenti culturali a prese di posizione
chiare". Significa che c' erano sacerdoti decisi a proteggere anche interessi
mafiosi? "Dopo la visita del Papa tutta la Chiesa ha dovuto schierarsi impedendo
a chiunque di coprire i mafiosi. Si e' ripetuto con questa visita quel che e'
accaduto nella Chiesa cattolica con il Concilio. Una rivoluzione. Magari non
compresa da tutti i prelati, come accadde per esempio a Lefebvre sempre piu'
legato a Gregorio XVI... Cosi' , adesso, potrebbe permanere un certo mugugno, ma
senza diritto di cittadinanza in una Chiesa che muta in modo
irreversibile".
Un'immagine dell'attentato in via Palestro a Milano |
Prima del delitto Puglisi erano giunti segnali premonitori. Durante
l'estate del '93, il collaboratore di giustizia Leonardo Messina era stato
ascoltato dalla commissione antimafia. Il presidente Luciano Violante gli aveva
chiesto: "La Chiesa in che rapporti è con Cosa Nostra?". L'ex boss nisseno
rispose: "La Chiesa ha capito prima dello Stato che doveva prendere le distanze
da Cosa Nostra. In passato, in un certo senso, sembrava che Cosa Nostra aiutasse
la gente e la Chiesa si prestava...da alcuni anni invece la Chiesa non vuole
avere nessun contatto" (Verbale dell’audizione di L. Messina in “Il patto
scellerato. Potere e politica di un regime mafioso. La relazione della
commissione parlamentare di L. Violante” (a cura di M. Coscia) Roma 1993, p.
114)..
Per le bombe di Roma l’allora procuratore di Roma, Michele Coiro, è stato
esplicito, dopo aver firmato i primi ordini di cattura (l’inchiesta fu poi
riunificata a Firenze) il 14 luglio 1994: “Il discorso di Giovanni Paolo II ha
rotto una sorta di tacito accordo di non belligeranza tra Chiesa e mafia. In
questo contesto sono legati gli attentati nella capitale e l’uccisione di padre
Puglisi” (Repubblica 15 luglio 1994). A Palermo uno dei magistrati che ha
condotto l’inchiesta, Luigi Patronaggio riflette così: “Io penso che l’omicidio
Puglisi abbia un duplice movente. Il primo è legato agli interessi locali della
mafia a Brancaccio, insidiati pesantemente dalle attività di don Pino. Questo
movente iniziale può essersi poi rafforzato e aver trovato consenso nell’ambito
di una strategia più alta di intimidazione alla Chiesa. E molto spesso, infatti,
dietro i grandi omicidi di mafia c’è un movente generale e una causa scatenante.
Questo è il terreno fertile in cui matura il delitto Puglisi”.
Dagli Stati Uniti trapelava (la ricostruzione è del Corriere della Sera del
24 settembre 1993) un avvertimento che un altro ex mafioso, Francesco Marino
Mannoia, aveva affidato all'Fbi il 19 agosto '93, parlando anche dell'arresto di
Riina, dell'attacco allo Stato italiano e delle bombe dell'estate. "Nel passato
- disse Mannoia - la Chiesa era considerata sacra e intoccabile. Ora invece Cosa
Nostra sta attaccando anche la Chiesa perché si sta esprimendo contro la mafia.
Gli uomini d'onore mandano messaggi chiari ai sacerdoti: non interferite". Il
rapporto dell'Fbi, quattro pagine, era stato trasmesso al capo della polizia,
Vincenzo Parisi, il 3 settembre. E dopo due giorni dal ministero dell'Interno
era partito un "dispaccio telegrafico-riservato-cifrato-lampo" ai prefetti, ai
comandi generali di carabinieri e Guardia di finanza, alla Direzione
investigativa antimafia. Il Viminale, raccogliendo l'allarme, raccomandava una
immediata verifica della tutela delle "personalità religiose", oltre che di
politici e magistrati.
Dieci giorni dopo scattava l'agguato - la morte annunciata - per padre Puglisi.
Dieci giorni dopo scattava l'agguato - la morte annunciata - per padre Puglisi.
Tutte le citazioni sono tratte da F.Deliziosi "Pino Puglisi il prete che
fece tremare la mafia con un sorriso" (Rizzoli - prefazione di don Luigi
Ciotti).
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Don Pino merita davvero tanta riconoscenza... è stato un esempio di Vero Uomo e Vero Prete!
RispondiEliminaFabrizio Nocifora