Padre Puglisi da Papa Giovanni Paolo II durante una visita a Castel Gandolfo del 1985 |
di Francesco Deliziosi
Papa Giovanni Paolo II e padre Pino Puglisi: le loro strade
si sono incrociate più volte nel corso degli anni e insieme hanno costruito un
cammino che ha portato la Chiesa a una maturazione della coscienza
ecclesiastica nei confronti della mafia. Il Pontefice polacco ora Santo e il
parroco diventato Beato si sono anche incontrati a Castel Gandolfo, nel 1985,
come testimoniano le foto che pubblichiamo in questo post.
Ma sono le parole di Giovanni Paolo II contro la mafia a
segnare le loro vite. Un grido pronunciato due volte, nel 1993 ad Agrigento e
nel 1995 a Palermo (dopo la morte di Pino Puglisi). Vedremo come sia probabile
che l’anatema della Valle dei Templi abbia un collegamento diretto con gli
attentati alle Chiese dell’estate del ‘93 e con l’omicidio del parroco di
Brancaccio (15 settembre di quell’anno).
NEL NOME DI CRISTO, CONVERTITEVI!
«Un grido mi nacque dal cuore»: Karol Wojtyla è sul podio
della Fiera, a Palermo, sovrastato dall’immagine del Cristo Pantocrator
raffigurato in un poster. E con vivida umanità inumidisce l’indice tra le
labbra per sfogliare le pagine del suo discorso. «Non posso ripetere quel che
ho già detto ad Agrigento...Ma non può uomo, nessuna umana agglomerazione,
mafia, togliere il diritto divino alla vita...». È il 23 novembre del ’95,
quinta e ultima visita del Pontefice in Sicilia, in occasione del convegno
delle Chiese d’Italia. È difficile che un Pontefice si ripeta, che riprenda un
brano intero di un discorso precedente. Ma Karol Wojtyla spesso infranse il
cerimoniale, spazzando via usi e costumi della tradizione. Già il primo
anatema, d’altronde, fu un guizzo, un’illuminazione improvvisa, all’ombra della
Valle dei Templi.
In quel momento, alla Fiera, il Papa ripensa alla
celebrazione di un anno e mezzo prima, ad Agrigento, - 9 maggio 1993 - col
vento che gli scompiglia i capelli bianchi e il Tempio della Concordia alle
spalle. Ripensa all’anatema contro i mafiosi, al suo dirompente invito alla
conversione. E lo ripete, parola per parola: «Dio ha detto una volta: non
uccidere. Non può uomo, nessuna umana agglomerazione, mafia, togliere il
diritto divino alla vita...Nel nome di Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo
che è Via, Verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili. Convertitevi, un giorno
arriverà il giudizio di Dio!». E poi spiega: ad Agrigento «un grido mi nacque
dal cuore».
COME REAGI’ PADRE PUGLISI
Queste frasi che fecero il giro del mondo, infatti, non
erano scritte nel discorso ufficiale pronto per la celebrazione di Agrigento.
Furono pronunciate a braccio dal Pontefice, quasi per una subitanea
ispirazione. Il 9 maggio 1993 padre Puglisi ascoltò in tv, come milioni di
altri italiani, l'omelia di Papa Giovanni Paolo II sulla mafia pronunciata
nella Valle dei Templi ad Agrigento. Meditando su quell'intervento - ma anche
sul complesso dei discorsi del Pontefice in Sicilia - si sentì interpellato in
prima persona e "come invitato a continuare il cammino con un nuovo
impulso e con pieno fervore", riferisce l’amico Antonio Raffaele. E
Gregorio Porcaro, allora suo viceparroco a Brancaccio, aggiunge che 3P si
commosse per quell’omelia: “Non posso non ricordare le sue lacrime di gioia.
Hai visto che bisogna avere fede? - esclamò -. L’ha detto anche il Papa,
dobbiamo andare avanti. Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”
LA REAZIONE DEI MAFIOSI
Quale fu la reazione dei mafiosi a un simile discorso? Una
rivelazione significativa è emersa dalle indagini sfociate in una operazione di
polizia denominata Gotha che il 20 giugno 2006 ha portato in carcere la
cosiddetta “triade”: tre boss – Antonino Cinà, Antonino Rotolo e Franco Bonura
- che costituivano il direttorio dei più stretti collaboratori del superlatitante
Bernardo Provenzano al vertice assoluto di Cosa Nostra. Nell’allegato 3
dell’ordinanza di custodia si riporta una conversazione del 4 aprile 2005 alle
ore 16 (due giorni dopo la morte di Giovanni Paolo II) fra un altro arrestato,
Angelo Rosario Parisi, e i boss Antonino Cinà e Antonino Rotolo.
PARISI: …e questo discorso del Papa…
CINA’: sì, ho sentito poverino, perché era…a parte quella
sbrasata che ha fatto quando è venuto qua…una sbrasata un pochettino pesante
verso i siciliani in generale però …è stato un cristiano buono, diciamo che è
stato un artefice per abbattere il comunismo…” (L’intercettazione è pubblicata
su molti giornali, in particolare con grande evidenza da Avvenire, 21 giugno
2006, col titolo “L’anatema del Papa dà fastidio anche oggi”).
In sostanza emerge dall’intercettazione in presa diretta dei
boss quanto il discorso storico di Giovanni Paolo II sia stato accolto nel ’93
con avversione, come una “sbrasata”, cioè uno sproloquio, un’esagerazione, un
andare oltre quegli stretti confini che la mafia assegna alla Chiesa (farsi i
fatti suoi e ostacolare il comunismo). Sono gli stessi giudizi che i mafiosi
danno dell’azione di don Puglisi a Brancaccio: “Uno che non si era incanalato,
che faceva di testa sua” (parole del pentito Gaspare Spatuzza).
Di recente le intercettazioni in carcere di Totò Riina (registrate
nel settembre 2013) hanno confermato questo clima di ira e sgomento che prese i
mafiosi dopo l’intervento di Wojtyla: “Quel Papa polacco – dice Riina -
era cattivo... proprio... Era un carabiniere... Ha esortato a
pentirsi...Ma noi siamo tutta gente educata..”. E quando minaccia di morte don
Luigi Ciotti (“putissimo ammazzarlo”) dice che è “una stampa e una figura” con
padre Puglisi.
L’ESTATE DEL ’93: UN FILO ROSSO
Nella foto del 1985: a sinistra Papa Wojtyla e padre Puglisi (il primo a destra). Al centro con la camicia azzurra si riconosce Carmelo Cuttitta, oggi vescovo ausiliare a Palermo. |
Il legame che il Vaticano rilevò tra l’anatema e le bombe
dell’estate ’93 emerge anche dalla monumentale biografia di Wojtyla, firmata
dal teologo americano George Weigel («Testimone della speranza»). L’autore ha
avuto la straordinaria opportunità di consultare documenti segreti della Santa
Sede e di colloquiare per più di venti ore con lo stesso Pontefice. Nel volume,
dopo aver riportato il monito della Valle e la notizia delle esplosioni a Roma,
il teologo conclude: «Non è possibile credere che la scelta del momento per gli
attentati fosse frutto del caso». Anche il cardinale Camillo Ruini, in un
intervento pubblico subito dopo l’uccisione di don Puglisi, legò l’agguato di
Brancaccio agli attentati dell’estate di quell’anno. Così come fecero diversi
magistrati, da Pier Luigi Vigna all’allora procuratore di Roma, Michele Coiro
che disse. “Il discorso di Giovanni Paolo II ha
rotto una sorta di tacito accordo di non belligeranza tra Chiesa e mafia. In
questo contesto sono legati gli attentati nella capitale e l’uccisione di padre
Puglisi”
WOJTYLA DOPO IL DELITTO
Subito dopo il delitto, Giovanni Paolo II intervenne dalla
Verna in Umbria con queste parole:
"In questo luogo di pace e di preghiera, non posso che
esprimere il dolore con il quale ho appreso ieri mattina la notizia
dell'uccisione di un sacerdote di Palermo, don Giuseppe Puglisi. Elevo la mia
voce per deplorare che un sacerdote impegnato nell'annuncio del Vangelo e
nell'aiutare i fratelli a vivere onestamente, ad amare Dio e il prossimo, sia
stato barbaramente eliminato. Mentre imploro da Dio il premio eterno per questo
generoso ministro di Cristo, invito i responsabili di questo delitto a
ravvedersi e a convertirsi. Che il sangue innocente di questo sacerdote porti
pace alla cara Sicilia". Mentre era in pellegrinaggio alla Verna, sempre
il 17 settembre Giovanni Paolo II aveva chiesto a San Francesco: «Aiuta gli
uomini a liberarsi dalle strutture di peccato che opprimono l'odierna
società...agli offesi da ogni genere di cattiveria comunica la tua gioia di
sapere perdonare, a tutti i crocifissi dalla sofferenza, dalla fame e dalla
guerra riapri le porte della speranza". ”L'Osservatore Romano“, riportando
l'intervento del Papa, dedicava anche un commento in prima pagina alla vicenda
per richiamare il "solenne, drammatico, angosciato grido levato contro la
mafia ad Agrigento". Il quotidiano vaticano definiva don Puglisi "una
sfera che, lontano dalla luce dei riflettori, ha rischiarato le
coscienze".
In questa ottica occorre anche sottolineare che Wojtyla non
si limitò alla denuncia contro la mafia, ma spinse la Chiesa verso una nuova
evangelizzazione, consapevole che la criminalità organizzata non verrà mai
sconfitta se non prevarrà «una cultura della vita». Molto prima dell’anatema di
Agrigento, la prima visita del Papa in Sicilia (20-21 novembre dell’82) è
passata agli annali delle cronache come un’occasione mancata. Wojtyla -
Pontefice da poco più di quattro anni - non pronunciò la parola mafia. E
andarono deluse, tra mille polemiche, le attese di quanti chiedevano una posizione
più netta in un’Isola scossa da omicidi eccellenti (a settembre era caduto il
generale Dalla Chiesa) e da altissime denunce (l’«omelìa di Sagunto» del
cardinale Pappalardo). A rileggere quei discorsi si trovano però le fondamenta
delle prese di posizione successive: «I fatti di violenza barbara - dice il
Papa a Palermo il 21 novembre - che da troppo tempo insanguinano le strade di
questa splendida città offendono la dignità umana...Occorre ridare forza alla
voce della coscienza, che ci parla della legge di Dio». Parlando poi al clero
sottolinea come «in questa drammatica realtà il Vangelo deve essere proclamato
alto e forte. Perciò il ministero sacerdotale è chiamato ad una operosità che
non conosca stanchezze».
Un'altra immagine del 1985. Padre Puglisi è il primo a sinistra, defilato come era nel suo stile. I suoi ragazzi sembrano circondare Papa Wojtyla |
GLI ALTRI VIAGGI
Dopo la visita a Messina e Patti (11 e 12 giugno 1988), è la
volta del viaggio del ’93, che oltre ad Agrigento, tocca Erice, Trapani, Mazara
e Caltanissetta. Il Papa pronuncia quindici discorsi in tutto. Di straordinaria
forza e intensità. Paragona le cosche e le loro «catene ataviche di odio e
vendetta» al frutto delle fatiche di Satana, invita i sacerdoti a «risanare
l’isola dalla piaga della mafia». Altrettanto nette le posizioni assunte l’anno
dopo (4, 5 e 6 novembre ’94) a Catania e a Siracusa.
La prima sferzata è per la stessa Chiesa. Non basta la
denuncia, occorre l’azione e la conversione. Per cambiare la mentalità dei
siciliani è necessario fondare «una civiltà dell’amore come antidoto alla
mafia». Quando il Vangelo non entra nella profondità della vita ma resta alla superficie
nascono strani fenomeni di convivenza tra usanze religiose e costumi mafiosi
(il santino bruciato per l’iniziazione, la presenza degli «uomini di rispetto»
alle processioni, le «letture religiose» di boss del calibro di Michele Greco o
Pietro Aglieri...). «Per realizzare degnamente questo disegno di
rievangelizzazione - dice il Papa a Siracusa - e di catechesi a tutti i
livelli, è necessario il lavoro indefesso, costante, organizzato e concorde di
tutte le forze disponibili del clero».
CORAGGIOSO TESTIMONE
I sacerdoti devono essere pronti, in questa missione, al
sacrificio anche della vita. Un compito assunto coscientemente in prima persona
dallo stesso Pontefice. Per due volte, a Catania e a Siracusa, il Papa ricorda
poi il martirio di don Pino Puglisi. E lo definisce tra gli applausi della
folla «coraggioso testimone del Vangelo». Significativo il riferimento durante
la visita a Catania: fu fatto durante la cerimonia di beatificazione per Madre
Maddalena Morano. Il Papa invocò una serie di santi e di beati, di «grandi
siciliani». Poi sollevò gli occhi un attimo e disse, anche stavolta a braccio,
«penso anche a don Giuseppe Puglisi, coraggioso testimone della verità del
Vangelo».
Parole non a caso, infatti in greco antico i testimoni sono
i martyres, i martiri che sacrificano la propria vita per non abiurare la fede.
E il 25 maggio del 2013 con la beatificazione del parroco martire la Chiesa ha completato il cammino che
Giovanni Paolo II aveva tracciato.
Tutte le citazioni sono tratte da F.Deliziosi “Pino Puglisi –
il prete che fece tremare la mafia con un sorriso” (Rizzoli).
RIPRODUZIONE RISERVATA
Si ringrazia l'Archivio Don Giuseppe Puglisi di via Bonello a Palermo
Due Santi dirimpettai ...I Santi crescono vicino a Cristo
RispondiEliminaSebastiano Puliafito
Grazie... Ah il nostro grande Beato Giuseppe Puglisi......
RispondiEliminaDiana Papaleo
Sono due figure che hanno dato a noi siciliani degli insegnamenti molto importanti sull'etica , sull'onesta' , il rispetto delle leggi ed il ripudio di tutti
RispondiEliminaI comportamenti di siciliani che credono al detto calati giunco ca passa la china.
Noi dovremmo ribellarci ad i mamma santissima con una rivoluzione culturale e di dignità ed allora troveremo un futuro migliore sopratutto per i nostri figli .LA STRADA DEL RISCATTA PASSA DA FALCONE DA LIVATINO , BORSELLNO ,PADRE PUGLISI e tanti altri che si sono sacrificati per questa terra.
SVEGLIATI SICILIA.
Giovanni Costanza
Grandi e unici!
RispondiEliminaFernanda Manuele