La copertina della tesi di laurea dedicata a Padre Pino Puglisi |
Federica Raccuglia si è laureata nei giorni scorsi col massimo dei voti e la lode in ”Scienze dell'editoria, dell'informazione e della comunicazione” presso l'Università di Roma Tor Vergata - Facoltà di Lettere e Filosofia (laurea magistrale) con una tesi su "Il coraggio della verità nella comunicazione - la storia di Padre Pino Puglisi". Per il blog beatopadrepuglisi.it ha scritto questo articolo che sintetizza la sua ricerca sul particolare modo di comunicare e di rapportarsi con gli altri da parte di Puglisi nelle varie epoche della sua vita.
di Federica Raccuglia
“Per poter essere noi
stessi, realizzare la nostra personalità dobbiamo comunicare. Il linguaggio è
necessario per comunicare, però quando si dialoga bisogna essere convinti di
essere di fronte ad un altro che è diverso”, amava affermare don Pino
Puglisi.
Credo che uno dei grandi mezzi utilizzati da padre Puglisi,
assolutamente vincente, sia stata la comunicazione. Una comunicazione legata
all’esperienza, semplice, fatta di esempi di vita comune, una comunicazione
comprensibile. Dare l’esempio significò per 3P realizzare esperienze di
produzione di vita come il volontariato, l’aiuto ai bisognosi. Non c’è
messaggio che sia valido senza un’esperienza che lo renda tale.
La mia tesi, intitolata “Il coraggio della verità nella
comunicazione”, è un omaggio a Don Pino, parroco palermitano ucciso dalla mafia
il 15 settembre 1993, che ha dedicato la sua vita all’affermazione della verità
e soprattutto della legalità.
Il mio lavoro ripercorre tutta l’esistenza di Pino Puglisi,
dalla nascita fino al periodo successivo alla morte, e concentra l’attenzione
sullo strumento della comunicazione. Ripercorrendo i vari momenti mi sono
proposta di esaminare lo stile comunicativo utilizzato non solo durante gli
anni passati a Brancaccio, ma anche nei periodi precedenti.
Nel 1967 Padre Puglisi divenne cappellano e insegnante di
religione all’istituto Roosevelt. Qui iniziò una collaborazione con un gruppo
di educatori comunisti, con i quali tentò di aprire un dialogo. Le loro idee
nettamente differenti dalle sue non facevano sì che i due punti di vista
cozzassero completamente fra loro. Don Pino, che aveva una mentalità molto
aperta per i tempi, era disposto ad ascoltarli e a trovare un punto di incontro
tra il suo pensiero e quello degli educatori. Puglisi aveva capito che dietro
il loro comportamento emergeva la richiesta di giustizia e la volontà di
rivendicare i propri diritti.
Alcuni appunti, scritti da Padre Puglisi presumibilmente tra
la fine degli anni 60 e l’inizio del decennio successivo, contengono una
riflessione riguardo il dialogo con i giovani. Secondo 3P, nei rapporti umani,
bisogna andare al di là della superficialità, guardando “prima di tutto alla persona poi al personaggio” e riuscendo a
cogliere i drammi, sensibilmente, di ciascuno. Sarebbe opportuno essere
caritatevoli, “essere sempre disponibili,
pronti a cogliere l’essenza delle persone, degli accadimenti, ricondurli a Dio”.
Leggendo alcuni documenti conservati nell’Archivio di Giuseppe
Puglisi, colpiscono tre lettere inviate dal sacerdote a una amica. E’ Rosalba
Peligra. Conobbe Padre Puglisi intorno ai quindici anni, presso il collegio
delle suore Basiliane di Santa Macrina. Quando lei si trasferì a Milano, il
loro rapporto di amicizia è continuato, un contatto mantenuto fino al giorno
prima dell’omicidio. Rosalba nell’intervista racconta come la vicinanza di don
Pino e la sua assistenza spirituale l’abbiano aiutata in un periodo di
depressione.
“Avevo 14-15 anni, ero
orfana di padre e mi trovavo nel collegio delle suore Basiliane di Santa
Macrina, nella zona di Romagnolo a Palermo - racconta Rosalba - Puglisi era il nostro cappellano, celebrava
la messa e ci confessava. Durante la lunga confessione, che era anche direzione
spirituale, raccontavamo le nostre disavventure e i nostri problemi familiari.
È sempre stato un grande e attento ascoltatore, la confessione durava tanto, le
ginocchia scricchiolavano. Ascoltava attentamente e dopo lunghi silenzi
esprimeva il suo consiglio.”
Il linguaggio utilizzato da don Pino aiutava a riflettere,
era semplice, spiritoso. “Le sue parole
responsabilizzavano l’altro. Non ti diceva “fai cosi” ma “che ne diresti di?” –
continua Rosalba - Non imponeva, non
obbligava. Valorizzava sempre le doti positive che una persona possedeva per
spingerla a fare, a dare, a inserirsi in un gruppo.”
A Godrano, dove nel 1970 divenne parroco della chiesa “Maria
SS. Immacolata”, provò ad aprire un dialogo con i protestanti. Quanto riuscì a
fare negli otto anni in questo piccolo paese è difficile da riassumere in poche
righe. La sua grande capacità persuasiva, non solo a parole ma anche con i
fatti, fece sì che alcune famiglie si riconciliarono.
Una delle storie e degli accadimenti più emozionati fu
quella avvenuta proprio lì, nella agreste Godrano. Durante i cenacoli, riunioni
che si svolgevano a casa delle famiglie, si leggevano passi tratti dal Vangelo
e si facevano lunghe riflessioni. 3P invitava le famiglie a riflettere sul
significato della parola “perdono” e cercava di far capire che perdonare non
era sinonimo di dimenticare il male subìto.
Una donna, che ospitava i cenacoli a casa sua, chiese a 3P
di aiutarla nella riappacificazione con la madre dell’omicida del figlio. Padre
Puglisi le consigliò di continuare a ospitare i cenacoli nella sua abitazione.
Qualche tempo dopo la madre dell’assassino scivolò davanti l’abitazione della
madre del ragazzo ucciso: fu l’occasione che portò la pace tra le due donne. Il
tentativo di Padre Puglisi di riportare la serenità nei cuori dei godranesi in
questo caso era riuscito.
Il suo cammino rispecchia il suo pensiero: i campi-scuola
sono uno dei momenti durante i quali 3P sviluppa e condivide con i giovani
tematiche profonde e a lui molto care. Padre Puglisi scelse di trattare diverse
tematiche, che spaziavano dall’amore all’amicizia, dal senso della vita
all’esempio di Cristo.
Due campi sono legati al concetto di comunicazione e
dialogo: il primo, intitolato “Che senso ha la vita? Chi è l’uomo? Da dove
viene? Verso dove va?”, e il secondo, intitolato “Essere con…”.
Durante il primo campo, Padre Puglisi parlò dell’uomo come
animale sociale, immerso nei problemi della società, ma nello stesso tempo
bisognoso di comunicazione.
Dialogare, secondo 3P, significa essere consapevoli della
diversità dei nostri simili, ma per farlo è necessario essere sinceri, tentando
di entrare in profondità. “Spesso infatti
noi assumiamo dei ruoli, delle maschere a seconda delle varie realtà, dei vari
ambienti; appunto per questo non dialoghiamo con l’essere profondo degli altri
perché siamo a contatto con delle maschere, non con delle persone”.
Ciò di cui parlava don Pino è ancora attuale:
l’incomunicabilità, per esempio, è uno dei casi più frequenti nelle relazioni.
“Casi di incomunicabilità si verificano
anche quando i due dialoganti sono chiusi nelle loro convinzioni personali e né
l’uno né l’altro vogliono staccarsene. Bisogna in questo caso essere capaci di
calarsi nei panni degli altri, essere capaci di critica e autocritica”.
A Brancaccio invece, all’inizio degli anni 90, rivolse una serie di
appelli ai mafiosi, invitandoli alla conversione. Qui operò direttamente nel
territorio, lavorando a stretto contatto con il Comitato Intercondominiale,
inviando insieme a loro un centinaio di lettere alle istituzioni per chiedere
l’apertura di una scuola media, un presidio sanitario, una palestra. La sua
comunicazione, che da qui potrebbe essere definita di tipo “extraterritoriale”
e indirizzata alle istituzioni, trovò molti punti di incontro con quella del
Comitato Intercondominiale.
Il suo forte ruolo sociale, nel periodo in cui era parroco a
Brancaccio, non fu però capace di attrarre l’attenzione della stampa nazionale.
Soltanto il Giornale di Sicilia e Il Manifesto (quest’ultimo pubblicò un
articolo nell’agosto nel 1993) trattarono le vicende accadute a Brancaccio tra
il 90 e il 93.
Perché i giornali non scrivevano di padre Puglisi? “I giornalisti e la Chiesa non colsero la
gravità della situazione. Don Pino era un comunicatore ma non uno che urlava. In
quel periodo don Turturro, all’epoca uno dei sacerdoti antimafia, aveva una
comunicazione diversa da quella di Puglisi, cercando il sensazionalismo per
avere spazio sui giornali – ha dichiarato Salvo Palazzolo, giornalista del
quotidiano Repubblica - Puglisi non
incarnava il clichè del prete antimafia. Fino ad allora i veri preti antimafia
erano altri, come il già citato Don Turturro, che faceva denunce eclatanti.
Puglisi non denunciò le minacce, mentre Turturro sì.”
All’interno della mia tesi di laurea ho dato voce ad alcuni
dei collaboratori e amici di don Pino, tra questi Pino Martinez, che era membro
del Comitato Intercondominiale della via Hazon, Rosalba Peligra, amica del
parroco fin dagli anni 60, e il giornalista Salvo Palazzolo. Ogni dettaglio,
grazie anche a queste testimonianze, è stato senz’altro fondamentale per studiare
il suo operato, il suo rapporto con gli altri e il suo insegnamento.
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