Il poster del Centro nazionale vocazioni utilizzato da padre Puglisi: un orologio senza lancette e lo slogan "Per Cristo a tempo pieno" |
Paola Geraci: una donna che ha consacrato la sua vita al Signore, medico e volontaria, impegnata nella Diocesi, con 10 anni di direzione spirituale con padre Pino Puglisi, il suo punto di riferimento. Il 16 settembre 1993 si trovò all'ospedale Buccheri La Ferla a lavare e comporre pietosamente la salma del sacerdote ucciso dalla mafia la sera prima. Come le donne e coloro che prepararono il corpo insanguinato di Cristo, deposto dalla Croce, per il sepolcro. Ecco la sua straordinaria testimonianza di quei momenti e poi, capitolo per capitolo, la descrizione del cuore dell'eredità di padre Pino. Egli era "per Cristo a tempo pieno", come si leggeva in un piccolo poster vocazionale che apprezzava tantissimo e raffigurava un orologio senza lancette. Anche per questo disse sì al suo vescovo che lo chiamò a Brancaccio: era il settimo sacerdote al quale veniva fatta la proposta....Ma Padre Pino ebbe sino alla fine la fede in un Dio che è Amore, che resta sempre con noi e che ci dà coraggio in ogni momento dell'esistenza, anche quelli più bui.
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di Paola
Geraci
Ex Direttore
Ufficio per la pastorale della salute, Palermo
Paola Geraci |
Il
duo comico Ficarra e Picone, nello spettacolo teatrale su P. Puglisi dal titolo
“Ma chi ce lo doveva dire” racconta che esiste “un parto per uccisione” e P. Pino Puglisi lo ha vissuto.
Posso affermare di essere stata testimone che questo “parto” è avvenuto
veramente, anche se, per questo, non ho dovuto ricorrere alla mia
specializzazione di medico ostetrico-ginecologo.
A
sera avanzata del 15 settembre 1993, sono arrivata all’Ospedale Buccheri La Ferla,
avvertita da una amica che vi lavorava ed era di turno, ed essendo conosciuta
sono entrata al pronto soccorso: qui sono stata invitata a restare dalla
dottoressa Paola Pugnetti, medico legale di turno quella sera, che si è sentita
sostenuta dalla mia presenza, essendo lei l’unica donna presente ed essendoci
una popolazione maschile di preti, magistrati, forze dell’ordine. Anche il
morto era un uomo.
P.
Puglisi era disteso sulla barella e sembrava che dormisse: il “danno” era a
livello della nuca. Constatato l’avvenuto “parto”, sono uscita per comunicarlo
alla folla e ho proposto di andare nella chiesa per fare quello che P. Puglisi avrebbe
fatto: aprire il Vangelo.
Altra
conferma dell’avvenuto “parto” ho potuto dare perché sono stata presente all’autopsia
di Padre Puglisi, insieme con Santina Di Gangi, ostetrica nel mio stesso
reparto, la Clinica Ostetrica dell’Università di Palermo al Policlinico, e con
Giuseppe Carini, lo studente di medicina di Brancaccio, che per la sua
conversione, grazie al rapporto col Parroco, è diventato testimone di
giustizia, permettendo di conoscere le dinamiche che avevano portato i mandanti
a decidere l’uccisione. Giuseppe frequentava come studente l’Istituto di
Medicina legale dell’Università di Palermo al Policlinico, e P. Puglisi gli
aveva detto ”quando toccherà a me, non lasciarmi solo”. Completati i tempi
dell’atto medico, lo abbiamo lavato, come si fa con un bambino appena nato, che
è sporco di sangue, asciugato, accuratamente vestito e rivestito dei paramenti.
Le
donne, che andavano per imbalsamare il corpo di Gesù e non lo hanno trovato, sono
testimoni della risurrezione. Noi abbiamo lavato il corpo di P. Puglisi morto e
siamo testimoni che è morto per testimoniare la forza dell’amore del Padre, che
ha fatto risorgere il Figlio e farà risorgere ogni uomo.
Questa
è stata l’ultima volta che ho visto P. Puglisi, morto.
La Sepoltura di Cristo di Tiepolo |
- “Me
lo aspettavo”. In sinossi con la Parola di Dio
Comincio
dalla fine, cioè dalla sera del 15 settembre 1993, quando P. Pino Puglisi
pronuncia il suo consummatum est (Gv 19,30): “me l’aspettavo”.
E come il consummatum est pronunciato da Gesù, nel buio della fine della sua vita,
quando il sole si oscurò, si apre sulla luce infinita della Pasqua, anche per P.
Puglisi le parole ultime, che precedono il buio della sua morte, avvenuta nel
buio della sera, si aprono sulla luce del suo martirio, che, innestata nella
luce di Cristo, illuminerà innanzitutto la Chiesa di Palermo e tutta la Chiesa…
se ne seguiamo le orme.
«Tutto è compiuto» (Gv 19,30) è la traduzione del consummatum
est, che ci riporta il Vangelo di Giovanni, a significare che il progetto
di Dio impregnato di Amore, anche se non facilmente comprensibile, si è realizzato
pienamente: la morte di Gesù, che agli occhi di coloro che lo hanno condannato
e crocifisso chiude un cerchio, che a loro parere dovrebbe fare tacere per
sempre il Rabbì di Galilea, piuttosto apre una porta sulla vita eterna,
vincendo tutte le espressioni del male compresa la morte.
Ricordiamo
san Paolo: «Bisogna infatti che egli
regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico
ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi».
(1 Cor 15,25-27).
Anche
per P. Puglisi i mafiosi hanno pensato la stessa cosa: “uccidiamolo e lo faremo
tacere”! Ma hanno avuto corta memoria: non hanno ricordato che il sangue degli
innocenti uccisi grida più della loro voce di quando erano in vita, come dice
un Padre della Chiesa.
Un'immagine dei funerali di Padre Puglisi con i bambini dietro la bara e il Cardinale Salvatore Pappalardo |
Quanto detto mi richiama alcuni
testi biblici: «Fratelli,
vi siete accostati … a Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi
perfetti, a Gesù, mediatore dell'alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è
più eloquente di quello di Abele». (Eb 12, 22-24).
«Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: “Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove
vengono?".Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui: “Sono quelli che
vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole
candide nel sangue dell'Agnello”» (Ap 7,13-14).
«Ma
essi lo hanno vinto [l’accusatore] per mezzo del sangue dell'Agnello e grazie alla
testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire» (Ap 12,11)
P. Puglisi partecipa al sangue
purificatore di Gesù. Sono
convinta che le parole “me l’aspettavo” esprimano la conclusione di un drammatico percorso
interiore: P. Puglisi ha vissuto certamente l’angoscia, anche se dalle testimonianze non risulta
che l’abbia confidato a qualcuno.
Il “pastore” ha tenuto tutto per
sé, cercando anzi di allontanare fisicamente le “sue pecore” cioè altri che potevano essere nel mirino
dell’arma dei persecutori mafiosi.
Ma l’angoscia che ha vissuto, certamente
non lo ha allontanato dall’amore di Cristo.
Come san Paolo anche P. Pino può dire: «Chi ci separerà dunque
dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la
fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù
di colui che ci ha amati. lo sono infatti persuaso che né morte né vita,… né
alcuna altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù,
nostro Signore» (Rm 8, 35-37).
- II
coraggio delle scelte
Come ha potuto sopportare
l’angoscia P. Puglisi?
Io
credo che P. Puglisi abbia sopportato l’angoscia perché nella sua vita ha fatto
“esercizio di coraggio nelle scelte”, a cominciare da quando un anziano
sacerdote gli domanda: “perché non diventi sacerdote?”.
E
poi la prima esperienza di essere parroco a Godrano: con il suo umorismo arguto
soleva dire: “sono il Parroco più altolocato”, riferendosi al fatto che il
Comune di Godrano è il più alto della Diocesi. Gli anni di presenza a Godrano, un
paese dove la mafia, con faide familiari che seminavano morti e fomentavano
rancore, e la presenza dei fratelli protestanti, lo hanno messo alla prova nel
fare esercizio di coraggio nelle scelte.
A
differenza di don Abbondio, di manzoniana memoria, che dice “se uno il
coraggio non ce l’ha, non se lo può dare”, P. Puglisi sperimenta che “se
uno il coraggio non ce l’ha, se lo può fare dare, da Cristo”.
P.
Puglisi aderisce completamente al modello che Gesù è stato ed è e che san Paolo
incarna. Ha incarnato quanto san Paolo diceva e dice esortando i cristiani: «Siate
forti nella tribolazione» (Rm
12,12). Sperimenta quanto insegnava e insegna ancora l’Apostolo «lo Spirito
viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm
8,26).
Il
coraggio di san Paolo nelle avversità, la sua tenace resistenza nelle
persecuzioni, la sua fermezza nell'affrontare pericoli di ogni sorta per
evangelizzare, costituiscono un modello di fortezza morale, che P. Puglisi fa
suo. Questa fortezza ha in Dio la sua sorgente: si tratta della «potenza
straordinaria che viene da Dio» (2
Cor 4,7), e che ci fa riconoscere che
« noi abbiamo questo tesoro in
vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e
non da noi. Siamo infatti tribolati da
ogni parte, ma non schiacciati…portando sempre e dovunque nel nostro corpo la
morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù,
perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale»(2
Cor 4,8-11).
Il
14 settembre 1993, giorno liturgicamente dedicato all'Esaltazione della Croce,
"3P" celebra l’Eucaristia a Boccadifalco, dove da tre anni segue le
ragazze madri ospitate dalla "Casa Madonna dell'Accoglienza", una
casa alla periferia di Palermo, sostenuta dalle Assistenti Sociali Missionarie,
incarico che non ha lasciato nonostante fosse Parroco a Brancaccio.
Nell'omelia, intensa e semplicissima, spiega il "sudar sangue" di Cristo: «Quando noi abbiamo paura o
proviamo una sensazione intensa di calore, scattano le contrazioni sotto la
pelle. Lì ci sono come delle borsette piene che si svuotano e fanno uscire il
sudore. Ma quando la contrazione è più forte, perché la paura è diventata
angoscia insopportabile, si rompono i capillari. Ecco perché si dice che Cristo
sudò sangue... Sudò sangue per la paura umana del dolore che l'attendeva. E
questo ce lo fa sentire ancora di più come fratello. Da questo abbiamo
conosciuto l'amore di Dio. Egli ha dato la sua
vita per noi e anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli». Il
giorno dopo P. Puglisi questo sangue lo versava …
Il
“me lo aspettavo” che P. Puglisi pronuncia richiama lo scorrere del tempo,
tempo che è prima kronos e che nella
lettura di fede diventa kairos. Tutto
il tempo di P. Puglisi era per Dio. Faccio una parafrasi di sue parole in
queste: “Finora ho lavorato per te, Signore;
adesso, che è giunta la mia ora, che Tu hai preparato per me e che mi
aspettavo, il mio tempo terreno si conclude, entro nella tua eternità”.
Come
non risentire san Paolo: «nessuno di noi vive per se stesso e nessuno
muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi
moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque
del Signore» (Rm 14 7-8).
- Per
Cristo a tempo pieno
Padre Puglisi in un incontro vocazionale con i giovani in una foto di fine anni Settanta. Alle sue spalle sulla destra il poster "Per Cristo a tempo pieno" con l'orologio senza lancette |
Cosa significa l’espressione Per Cristo a tempo pieno? Significa che «ogni attività, Signore, ha
in Te l’inizio e in Te il compimento», come diciamo in una orazione della
liturgia delle ore.
Per Cristo: la motivazione che come un filo d’oro unificava
tutte le giornate di P. Pino, tutte le attività delle sue giornate, comprese
quelle legate alle esigenze della vita personale, alle quali P. Puglisi non era
insensibile, ma a cui dedicava poco tempo, come i pranzi per esempio, a meno
che non ci fossero coinvolti altri.
Usava fare le vacanze estive, ma non erano mai solo
fine a se stesse: si intrecciavano con l’occasione di visitare amici fuori
Palermo, o erano in coda a qualche Convegno formativo. 3P non mostrava squilibrio
nelle attività: la sua vita era cadenzata da un ritmo intenso ma senza ansia. P.
Puglisi faceva fruttare al massimo i suoi rapporti interpersonali, anche per
moltiplicare il suo tempo, coinvolgendo molti di coloro che avevano relazione
con lui nelle iniziative che realizzava. Era un meraviglioso moltiplicatore.
Tutto ciò, purtroppo, aveva un neo: P. Puglisi spesso “portava ritardo” negli appuntamenti,
creando difficoltà a chi aspettava, ma sua giustificazione, valida purtroppo
solo per un verso, era che non poteva interrompere un colloquio per essere
puntuale al successivo.
Ma certamente è stato puntuale ai momenti
fondamentali della sua vita!
3.1 L’orizzonte
vocazionale della vita di P. Puglisi
Un
altro fattore, che a mio parere ha giocato nella vita e nella morte di P. Puglisi
è avere vissuto tutta la vita nell’“orizzonte vocazionale”. L’orizzonte
vocazionale è stato una categoria mentale e spirituale sperimentata all’inizio
della sua vita di presbitero, e che si è approfondita con la sua riflessione e
con l’esperienza di Direttore del Centro vocazionale diocesano e regionale. Un
Direttore potrei dire appassionato, che “applicava” la categoria vocazionale a
tutte le sue attività, tenendo presenti i testi conciliari, di cui è stato un
attento conoscitore. La serietà e l’impegno con cui ha portato avanti questa
responsabilità dice quanto importante ritenesse la dimensione vocazionale.
Non
considerava un caso il suo essere prete, non erano frutto del caso tutte le
esperienze vissute da presbitero, ma ogni richiesta era una vocazione, una
chiamata a cui P. Puglisi rispondeva, vivendo l’obbedienza.
Mi
consta personalmente come accettò “la chiamata” del Vescovo ad andare parroco
alla Parrocchia San Gaetano a Brancaccio.
Me
lo comunicò poco dopo, durante un colloquio. Alla mia domanda che esprimeva
tanta perplessità per la molteplicità di impegni che già sosteneva, mi rispose:
“Sono stato il settimo a cui il Vescovo
ha fatto la proposta, ma quando il Vescovo chiama non si può dire di no: a Lui
ho promesso ubbidienza nel giorno della ordinazione”.
In
forza dell’ubbidienza P. Puglisi è diventato martire: e questo non è un castigo,
come qualcuno che non conosce la logica del Vangelo potrebbe dire, ma un premio
per chi vive la testimonianza sino all’estremo!
3.2 Serietà e impegno
Serietà
e impegno sono, direi, una cifra o meglio la cifra dell’agire di P. Puglisi.
Una serietà che non ne faceva una persona seriosa, anzi, aveva inaspettate
battute spiritose e argute. Un impegno che non lo rendeva rigido nella gestione
della organizzazione, dove prevaleva la relazione diretta, empatica, con i più
giovani e con i più anziani, sempre nel più pieno rispetto della persona con
cui era in contatto, pronto ad ascoltare i pareri anche dei più inesperti,
disposto a promuovere le persone che con lui collaboravano, senza preoccuparsi
di essere “il Direttore”.
Alla
luce dell’esito della sua vita sembra una profezia quanto dice nell'agosto del '91, partecipando ad
un convegno di “Presenza del Vangelo” a Trento, in una relazione su “Testimoni
della speranza”. «Il discepolo è testimone, soprattutto testimone della
resurrezione di Cristo... Certo, la testimonianza cristiana è una testimonianza
che va incontro a difficoltà, una testimonianza che diventa martirio, infatti
testimonianza in greco si dice "martyrion". Dalla testimonianza al martirio
il passo è breve, anzi è proprio questo che dà valore alla testimonianza. San
Matteo 5,11-12a ci riferisce le parole di Cristo: "Sarete felici quando vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni
sorta di male di voi per causa mia; rallegratevi ed esultate perché grande è la
vostra ricompensa nei cieli". Per
il discepolo-testimone è proprio quello il segno più vero che la sua
testimonianza è una testimonianza valida... Ricordate San Paolo:"Desidero
ardentemente persino morire per essere con Cristo". Ecco, questo desiderio diventa desiderio di comunione, che
trascende persino la vita, che va al di là della vita stessa, anzi quasi può
sembrare una porta chiusa da aprire, per potere aprirsi a questo splendore di
comunione con Lui».
Se non si ha
responsabilità e impegno nell’agire, queste parole non albergano nella mente e
in P. Puglisi albergavano non solo nella mente ma anche nel cuore.
- Lo
stile di accompagnamento di P. Puglisi attraverso la mia esperienza
La
richiesta di questa riflessione mi ha impegnata a cercare nella mia memoria lo
stile dell’accompagnamento di P. Puglisi, che ho sperimentato e che ho visto
agito in altri.
Quando
io ho fatto la mia scelta vocazionale, pur conoscendolo, non gli ho chiesto
niente, ma poi, dai miei 30 anni ai 44, quando ormai vivevo la mia vocazione e
cominciavo a sentirne le difficoltà, P. Pino è stato il mio confessore e
direttore spirituale.
P.
Puglisi non era molto “direttivo”, nel senso che non dava indicazioni immediate
che partivano da lui. Faceva sì, invece, che le direttive nascessero dentro il
colloquio con la persona, nella valutazione dei fatti e nel confronto di questi
con la Parola.
Era
un uomo di speranza e che apriva alla speranza. Quando talvolta, alla fine
della confessione, io commentavo, esprimendo la fatica che sentivo: “ora devo
ricominciare daccapo”, lui serenamente diceva: “non daccapo, da dove eri giunta”.
Non
riesco a ricordare quando e come l’ho conosciuto, ma certamente attraverso le Assistenti
Sociali Missionarie.
Mi
sono laureata nel 1973 e mentre stavo facendo la specializzazione in Ostetricia
e Ginecologia, (scelta come risposta ad una vocazione, ancora inconsapevole,
come ho potuto capire dopo) avevo cominciato a collaborare con gli operatori
della Pastorale familiare diocesana, che aveva avuto un forte impulso, per
volontà del Cardinale Pappalardo. Tenevo incontri sulla sessualità, sulla vita
e sulla regolazione della fertilità nei corsi prematrimoniali e collaboravo con
il consultorio familiare “La Casa”, costituitosi sempre per volere del
Cardinale.
Ritornando
indietro con il pensiero, penso che sia stato il fatto che mi avvicinavo a
tutte le problematiche inerenti la vita nascente e tenevo già incontri su
tematiche relative a quella che si chiamava “educazione sessuale”, a farmi
entrare in contatto con P. Puglisi.
Lui
era già parroco a Godrano e molti giovani del Paese, anche grazie ai suoi
interventi presso i genitori, venivano a studiare a Palermo e avevano un punto
di riferimento e di incontro nel Centro sociale del Villaggetto di Romagnolo,
dove era presenza fissa l’allora giovane e sempre carissima Assistente sociale
missionaria Agostina Aiello, che è stata messa, secondo me per progetto di Dio,
lungo il percorso della vita di P. Puglisi, anche perché fosse possibile oggi
avere testimonianze dell’operare di 3P.
Non
ricordo quando né come P. Puglisi mi abbia fatto la richiesta di
collaborazione, ma ricordo che, negli ultimi mesi del 1976, mentre si preparava
il magnifico Convegno “Evangelizzazione e promozione umana”, il primo Convegno
Ecclesiale della Chiesa italiana e riproposto in Diocesi per volontà del
Cardinale Pappalardo, nel tardo pomeriggio del martedì, andavo al Centro
sociale e incontravo un gruppo di giovani lavoratori e studenti di entrambi i
sessi, fra cui alcuni fidanzati (poi sposati) e altri che hanno seguito la
vocazione presbiterale o religiosa. Con l’aiuto di alcuni poster, che mi hanno
accompagnato per anni e anni, prima delle diapositive, che in certi posti erano
un lusso, parlavo della persona umana, della sessualità, del suo valore intrinseco
e del suo valore nella relazione interpersonale.
Penso
che P. Puglisi sia stato “un profeta” perché in quegli anni non era frequente
che si trattassero questi argomenti negli ambienti cattolici. Pochi lo facevano
e P. Puglisi era tra questi.
Lui
non era sempre presente: veniva ogni tanto ma i partecipanti sapevano dove
trovarlo, in paese o in alcuni giorni stabiliti lì, al punto di incontro.
Ho
fatto la “puntualizzazione” della mia scelta vocazionale proprio in quel luogo,
dopo un incontro con i giovani, la sera del martedì 25 gennaio 1977, restando a
cena ospite di Agostina, per parlare con un amico che partecipava attivamente
nel Movimento Presenza del Vangelo (allora Crociata del Vangelo) e che
frequentava il Centro sociale, per continuare con i giovani l’esperienza dei
Cenacoli, iniziata a Godrano durante le missioni promosse dal parroco Puglisi.
Sapevo della sua ricerca vocazionale e gli chiesi di incontrarlo.
Mi
sono chiesta più volte: perché non ho parlato con il sacerdote con cui mi
confessavo in quel periodo? Non lo so e non mi ricordo neanche chi fosse.
Sottolineo questo fatto per dire che non sempre sono i presbiteri il canale del
discernimento vocazionale: lo sappiamo tutti che anche i laici sono “abilitati”
a questo prezioso e delicato servizio.
L’incontro
con questo amico, poi diacono permanente, piuttosto che un dialogo fu un
monologo: io gli spiegavo di avere capito che il Signore mi chiedeva la
consacrazione a Lui, non in un convento ma mettendo il mio lavoro a servizio
del Suo Regno.
Avevo
sperimentato che molte persone, in certe situazioni esistenziali
particolarmente importanti e difficili, non potevano o non volevano essere
raggiunti dal sacerdote ma accoglievano, e anzi cercavano, il medico ostetrico-ginecologo.
Gli dissi pure che sapevo, per averlo letto tempo prima in un trafiletto di
Famiglia Cristiana, che questa forma di consacrazione nel mondo si chiamava
Consacrazione negli Istituti secolari.
A
quel punto lui mi disse che ce n’era uno vicino a noi, nato dall’intuito
spirituale che lo Spirito aveva dato a padre Placido Rivilli frate minore, il
quale oltre che al Movimento “Crociata-Presenza del Vangelo” aveva dato vita
anche all’“Istituto Secolare delle Missionarie del Vangelo”, di cui in quegli
anni era responsabile generale, la grande amica di P. Puglisi, Lia Cerrito.
Donna Lia, come lui la chiamava.
Così
cominciò la storia della seconda parte della mia vita.
4.1 L’inizio del cammino
di direzione spirituale
Quando
fu il momento opportuno, chiesi a P. Puglisi di confessarmi con lui e intraprendere
il cammino di direzione spirituale. Ho sperimentato che P. Puglisi, più che “direttore”
fosse “accompagnatore”, in un cammino condiviso di discepolato, come una
persona che ha fatto più strada nella sequela
Christi e che può aiutare, chi ne ha fatta di meno, a riflettere, sulla
esperienza di bene e di male, nella opzione di fondo di volere seguire e
realizzare la volontà di Dio.
Ricordo
che un giorno, dopo avere discusso su alcuni “fatti miei”, concludevo: «P.Puglisi
temo di essermela inventata questa vocazione!». E lui serenamente: «Tu credi che ogni vocazione cominci pura?
Si va purificando lungo la strada della vita».
Il
Cardinale gli aveva dato l’incarico di guidare la neo-formata comunità
vocazionale: con un gruppo di adolescenti si era trasferito in un antico bel
palazzo donato alla Diocesi e il primo incontro, lo ricordo benissimo, si
realizzò in una sala con tetto e pareti affrescate, con una grande finestra che
si apriva su di un giardino, e che aveva come arredamento solo due sedie: una
per lui e una per me, poste al centro. Ora leggo questo fatto come espressione
della sobrietà che lo caratterizzava: usare le cose offerte dalla Provvidenza
senza sovraccaricarle di altro.
Possiamo
leggere in questo, come in filigrana, una caratteristica spirituale
francescana? Forse sì, avvalorata anche dal profondo rapporto col Vangelo vissuto
nella sua vita e dalla mitezza che lo caratterizzava.
Alla
mitezza ho pensato il giorno dei suoi funerali: una folla immensa lo seguiva,
richiamata non solo dalla conoscenza personale ma frutto immediato della sua
morte. E sentivo le parole del Vangelo di Matteo 5,5: “beati i miti perché possederanno la terra”: mi pareva che quella
folla fosse “il possedimento” che Dio concedeva ad un suo figlio, ministro
della Sua chiesa, che aveva incarnato quella beatitudine in tutta la sua vita e
in maniera speciale alla fine “ come agnello
mansueto …” (Ger 11,18).
Un
altro ricordo suscitato da qualcosa ascoltato in questi giorni, come una piccola
postilla a proposito di P. Puglisi e del salotto. P. Puglisi aveva il salotto o
meglio, nella casa dei suoi genitori, con cui viveva e dove rimase a vivere
dopo la loro morte, c’era un salotto stile anni ’60, con sottili piedini di
metallo dorato e la tappezzeria di velluto di lana rosso, che accoglieva chi vi
si sedeva. Io l’ho usato molte volte perché, avendo entrambi giornate molto
intense, dedicavamo le ore serali, a casa sua, per gli incontri di direzione
spirituale.
Uno
degli argomenti che ritornavano nei nostri colloqui era la gestione del tempo e
la possibilità concreta di partecipare alla Messa quotidiana. Cosa mi diceva P.
Puglisi? «Se devi arrivare a Messa trafelata, con la mente ancora nella
situazione che hai appena lasciata, partecipando alla Messa come a qualcosa fra
le altre innumerevoli attività della tua giornata, è meglio che ti fermi dove
sei e fai mezz’ora di meditazione sul testo del Vangelo del giorno». Invito a
tralasciare la Messa? Assolutamente no! Piuttosto convinzione che la Parola di
Dio non viene dopo l’Eucaristia ed è luce per i passi a qualunque età e in
qualsiasi condizione di vita.
- E
ancora coraggio… l’annuncio di tutte le vocazioni
Non
ricordo se la parola coraggio facesse
parte dei miei pensieri durante il tempo della mia scelta vocazionale: sentivo
piuttosto un grande desiderio di infinito, molta gioia nel cuore e tanta
curiosità per il futuro. Penso che si possano sintetizzare questi sentimenti
con una sola parola: innamoramento!
P. Puglisi aveva capito che la comunità ecclesiale, potrebbe
e dovrebbe un “grembo” per la crescita non solo spirituale ma innanzitutto
umana della persona. Da questa convinzione sono nati i campi vocazionali, luogo
di esperienza per capire il senso della vita.
Fare capire il senso della vita ai giovani era l’obiettivo
prioritario della Pastorale vocazionale di P. Puglisi.
Il 1 Febbraio
1987, ad un convegno P. Puglisi parlando sul tema “La
vocazione dell’uomo”, dice: «Qual è il valore ed il senso della mia
esistenza? E, più in generale, "Chi è l'uomo?" Ecco il perenne
interrogativo: "Chi sono io? Qual è la mia identità? La mia vita ha un
senso? Cioè: lo ha da prima, glielo do io, lo danno gli altri? Quale il senso di
questa vita?"
È l'interrogativo al quale hanno
cercato di rispondere da sempre gli uomini… La risposta cristiana è questa: la vita è vocazione all'Amore (che è
Dio stesso). Vocazione all'Amore, quindi vocazione alla comunione con Dio. È nella
comunione con Dio la pienezza di vita dell’uomo. Questa comunione con Dio si realizza attraverso
la comunione con gli altri uomini e questa comunione con Dio e con gli
altri uomini, già da ora, è una caparra di quello che sarà la gioia senza fine,
quando saremo ammessi a goderne in un modo straordinario, inesprimibile adesso.
Tutti quanti, dunque, secondo l’espressione di un teologo nostro siciliano,
padre Consoli, rettore dello studio teologico di Catania, tutti quanti siamo
come l'unico volto del Cristo. Tutti diventiamo figli nel Figlio, Cristo. Come
in quel volto che c’è raffigurato a Monreale, ciascuno di noi è come una
tessera di questo grande mosaico. E quindi tutti quanti dobbiamo capire qual è
il posto che dobbiamo occupare perché questo volto acquisti la sua bellezza, e
sia, direi, attraente per tutta l’umanità. Tutti quanti dobbiamo capire qual è
il nostro posto e dobbiamo aiutare anche gli altri a capire qual è il proprio,
perché si formi l'unico volto del Cristo, splendente della sua Gloria».
Per
realizzare questo P. Puglisi ripeteva
nel 1990: «Occorre evangelizzare la vocazione a tutti i credenti, a tutte le comunità;
la vocazione come dimensione della vita, come mistero dell'amore di Dio. In particolare
i giovani devono essere aiutati a riscoprire la dimensione vocazionale della
vita e dell'esistenza».
Prima di tutto c’è la vocazione alla
vita. Siamo stati chiamati alla vita, non ce la siamo data noi: la cosa più
nostra che abbiamo l’abbiamo ricevuta in dono, in modo gratuito.
Da questa prima vocazione discendono
tutte le altre, permeate dalla fondamentale vocazione all’Amore: siamo stati
chiamati alla vita con un gesto che esprime l’amore fra una donna e un uomo e
siamo chiamati a viverlo, questo amore, per realizzare la nostra vita.
Una forma, la più ordinaria, per
realizzare l’amore nella nostra vita è il matrimonio.
P. Puglisi continuava: «Il matrimonio, formarsi la famiglia, è una
vocazione, non è un fatto naturale. Capita che due si incontrano, hanno
simpatia l’uno verso l’altro e si sposano. La simpatia, l’incontro possono
essere dei segni, ma tutti i segni sono ambigui, bisogna fare discernimento dei
segni. Non è detto che due che hanno simpatia siano fatti per il matrimonio, io
credo che è proprio della persona normale avere simpatia per qualche persona
dell’altro sesso. Una persona che non abbia simpatia per persone dell’altro
sesso potrebbe non essere normale. Quindi, la simpatia non è proprio un segno
certo, bisogna vedere qual è il proprio modo di vivere l’amore e, quindi, le
due persone dovranno fare eventualmente un cammino di discernimento per capire
se è quello il modo con cui dovranno manifestare al mondo l’amore di Dio».
Posso affermare che questa concezione
della vita ha accompagnato la mia vita, ma anche quella di quasi due
generazioni di giovani e meno giovani, che in qualche modo hanno avuto contatto
con Lui.
Poi P. Puglisi richiamava: «L’altra forma, attraverso la quale
ciascuno di noi può diventare segno dell’amore di Dio, è la “verginità sponsale”.
Io la chiamo cosi. Molti la chiamano “celibato per il Regno dei cieli”. Il
termine “verginità sponsale” mi piace di più perché sembra contraddittorio.
Vuol dire questo: non è una verginità sterile, che si chiude, che mette
barriere, ma è una verginità che si apre ad una fecondità che logicamente non è
materiale. Non voglio dire, però, che la fecondità degli sposi sia semplicemente
materiale, altrimenti sarebbe troppo poco, sarebbe la fecondità che hanno le
mucche, i cani ecc ... I due genitori generano non solo un corpo, ma una
persona e generano una persona che attraversa tutta una vita; chiaramente è,
perciò, una generazione che riguarda le diverse componenti della persona umana.
Nella paternità o maternità della verginità sponsale viene semplicemente a
parlarsi della generazione spirituale, di quella che l’uomo compie per la
dimensione spirituale. La verginità sponsale dice un rapporto immediato con il
Cristo».
- Non
temere …
Ma a
queste scelte si oppone, specialmente oggi, la mancanza di coraggio per
scegliere. Non ci sono più molti giovani che scelgono il sacerdozio e la vita
consacrata ma anche pochi giovani intraprendono la vita matrimoniale.
Ho
detto “specialmente oggi” ma forse non è vera questa affermazione. Me lo fa
pensare il fatto che nella Sacra Scrittura è riportata per 365 volte
l’espressione “non temere”, che
evidentemente è la risposta di Dio alla paura che l’uomo avverte ed esprime
davanti a qualcosa di sconosciuto, alla paura che gli viene chiesto di
iniziare, di compiere qualsiasi azione, piccola o grande che sia.
P. Puglisi diceva che ci
sono persone che vivono tutta la vita su di un piede solo, perché per tutta la
vita aspettano di… fare il passo.
Per seguire, oggi, lo stile di P.Puglisi cosa possiamo fare per raggiungere i giovani ed aiutarli a mettere in
pratica le proposte evangeliche, vere ieri e oggi? Per aiutarli a fare scelte
coraggiose per la loro vita, a fare loro scoprire un orizzonte che ha come
caratteristica il senso della vita come vocazione, in cui Gesù è il tesoro che
dà la felicità?
Prima di tutto dobbiamo credere alla proposta del Vangelo,
così come ci credeva P. Puglisi, che viveva un profondo rapporto con Gesù,
nutrito di preghiera meditata della Parola e di intimità con Gesù Eucaristia.
Per trovare una via di accesso ai giovani, poi, bisogna usare
la via che da sempre è valida, per tutte le età: la via del cuore. Farli
sentire amati, fare sentire loro che qualcuno si interessa a loro, che loro
sono il futuro e senza di loro il mondo e la Chiesa non hanno futuro.
Oltre le parole vale sempre la pedagogia di Gesù, che P. Puglisi
attuava: “Vieni e vedi”: creare
occasioni di incontro e di attività in cui i giovani si sentano interpreti, pur
se guidati e stimolati da altri più avanti di loro per età ed esperienza, tempi
in cui la loro creatività possa essere messa a disposizione di qualcuno che ha
bisogno, per provare la gioia del dare, esperienza che non conosci fino a
quando non la vivi.
- IL CORAGGIO DELLA TESTIMONIANZA
“Il mondo ha bisogno di testimoni più che di
maestri”, ha detto Paolo VI, ma i testimoni devono sapere che, nei confronti
dei giovani, è necessario che siano anche educatori e formatori.
P. Puglisi
ha pensato come un credente, in particolare come un presbitero, chiamato ad
essere educatore e formatore, non autoritario ma autorevole, capace di dire si
e di dire no e di mantenere quanto detto.
Questi due
termini, formatore ed educatore, spesso sono usati come sinonimi e così li
userò anche io, pur sapendo che non sono tali. Non mi fermerò a sottolineare i
punti in comune o le differenze del significato di queste parole, perché sono
convinta che, se una persona è veramente formatore, il suo essere formatore si
fonde con l’essere educatore. In P. Puglisi certamente i due aspetti sono
presenti e fusi e non credo che lui facesse una differenza a proposito o
decidesse a tavolino quando era l’uno o l’altro.
Riguardo a questo è sorta in me una immagine: vedo P. Puglisi come lo
scultore, che deve dare forma al soggetto che ha in mente - il formatore - e
che, per fare questo, deve tirare fuori dal blocco di marmo il soggetto che ha
in mente - l’educatore -.
P. Puglisi, però, non ha davanti un blocco di marmo ma la persona e
specialmente la persona in una particolare età della vita, l’adolescenza o la
prima giovinezza, la persona con cui creare una relazione, strumento speciale
per “dare forma e tirare fuori”.
P. Puglisi ha utilizzato la
relazione al posto dello scalpello dello scultore.
Continuo con l’esempio: una cosa che lo scultore fa prima di iniziare il
suo lavoro è stare a guardare il marmo, quasi a vedere la forma già presente,
quasi ad ascoltare cosa gli dice, perché in qualche modo dal blocco di marmo
riceve la guida per il suo lavoro.
Penso che P. Puglisi facesse la stessa cosa: era un esperto nella virtù
dell'ascolto. Lo prendevamo in giro per le sue grandi orecchie: sono state
forse un segno della Provvidenza?
Davanti ad una persona, adolescente o giovane, il suo impegno è stato quello
di dare una forma, la forma di Gesù vero Uomo e vero Dio, e di tirare fuori da
questa persona l’immagine di Gesù presente in ogni persona facendogliene
prendere consapevolezza.
Per P. Puglisi era normale che attraverso la relazione con lui, la
persona instaurasse una relazione personale con Gesù: lui era solo uno
strumento.
Nella relazione con Gesù si trova la risposta alla vocazione,
al senso della vita ma, per rispondere a qualunque vocazione, si richiede la
maturità, a cui i formatori devono accompagnare i giovani. E non è una impresa
semplice!
P. Puglisi è stato un appassionato animatore vocazionale e
direttore spirituale, ed è riuscito spesso nel suo obiettivo di fare superare le
difficoltà determinate dalla mancanza di coraggio, facendo sì che molti,
tentati di passare tutta la vita su un piede solo, in attesa di fare il passo, riuscissero
a fare quel passo.
Lui ha testimoniato che la paura di fare scelte coraggiose si
può vincere solo fidandosi di Uno che può portare a dire sì, senza riserve, rispondendo
alla chiamata che questo Uno-Amore fa sentire.
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(Dalla rivista "Vocazioni". Testo e foto sono pubblicate su questo blog per gentile concessione dell'autrice)
Un orologio senza tempo. Dedizione al prossimo 24 su 24. Annullarsi per operare il bene.
RispondiEliminaMaria Demichele
Leggere e meditare.
RispondiEliminaGiovanni Di Paola