Il magistrato Luigi Patronaggio |
Luigi Patronaggio è il magistrato che, con il collega Lorenzo Matassa, ha condotto le indagini sull'omicidio di don Pino Puglisi, sostenendo poi l'accusa durante i processi. Ha inviato al nostro blog questo suo intervento in cui ripercorre il suo impatto con il caso giudiziario che si è ben presto trasformato in un rapporto diretto con la figura del sacerdote-martire. Ricostruendo il periodo storico del 1992-1993, Patronaggio collega il delitto all'anatema di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi e agli attentati alle chiese di Roma: l'omicidio - sottolinea - "è stato quasi la conclusione di un piano violento avente come destinataria finale proprio la Chiesa e il suo nuovo forte atteggiamento contro la mafia". Quanto a don Puglisi fu ucciso perché "era un evangelizzatore, nel senso che educava alla cultura del Vangelo, educava alla cultura della legalità, educava a superare il male attraverso il bene".
di Luigi Patronaggio
Non è facile, non è usuale nella vita di
un magistrato avere la fortuna di indagare e risolvere un caso così difficile
come è stato l'omicidio di don Pino Puglisi.
In precedenti miei interventi ho definito
questo caso giudiziario che mi è capitato come “una straordinaria avventura umana” e, devo dire, che mi è veramente
caduto un dono dal cielo, sono stato veramente fortunato ad imbattermi in
questa vicenda processuale che mi ha permesso di maturare personalmente e
professionalmente.
Quando la mafia uccide qualcuno, succede
che cerchi subito di screditare la vittima e di buttarle del fango addosso, ciò
succede spesso quando si uccidono uomini con funzioni pubbliche anche al fine
di sviare le indagini.
Ho subito pensato che questa tragedia
nella tragedia, potesse accadere anche per don Puglisi, in realtà per lui
questo miserabile tentativo di Cosa Nostra si è esaurito nell’arco di un paio
di ore.
Investigatori e giornalisti sotto casa di padre Puglisi, la sera del 15 settembre 1993, subito dopo il delitto |
Appena fatto il sopralluogo
nell' abitazione del parroco assassinato, una casa assolutamente severa, piena
di libri, molti di teologia, cominciarono ad arrivare i suoi amici, i ragazzi
del quartiere e tanta gente per bene. Quelle voci che pur erano state fatte circolare
per screditare la sua figura, cominciarono a dissolversi e scomparirono alle
prime luci dell’alba, facendo emergere la figura di un uomo, di un prete,
assolutamente straordinario, fuori dal comune.
Le indagini riuscirono subito a prendere
la direzione giusta perché don Pino aveva seminato bene nel quartiere, aveva
seminato la cultura della legalità.
Don Porcaro, suor Carolina, i componenti
del comitato intercondominiale di via Azolino Hazon, tutti i suoi più stretti collaboratori
hanno subito individuato nei fratelli Graviano i mandanti di quel delitto.
Voglio precisare che nel 1993
pronunciare soltanto il nome dei fratelli Graviano a Brancaccio era atto di grandissimo coraggio,
inaspettato, assolutamente rivoluzionario. Costoro hanno fatto parte dell' ala
stragista di Cosa nostra, quella più
efferata, e non è un caso che molti mafiosi del “commando” che ha ucciso padre
Puglisi li ritroveremo fra coloro che hanno commesso le stragi del '93.
Mi preme anche sottolineare che
all’epoca delle prime indagini non potemmo avvalerci di nessun pentito e
tuttavia quel crimine fu subito inquadrato, senza alcun dubbio, come omicidio
di mafia.
Ma perché è stato ucciso don Puglisi?
Fondamentalmente perché era un
evangelizzatore, nel senso che educava alla cultura del Vangelo, educava alla
cultura della legalità, educava alla cultura della partecipazione, educava a superare
il male attraverso il bene.
Padre Pino è stato ucciso per la sua
normalità di essere parroco, per la sua normalità di essere prete, per la sua
normalità di essere sacerdote.
Io non so se don Pino è stato un santo,
non ho le competenze per stabilirlo, ma egli è stato sicuramente un eroe per
caso, uno che ha fatto della normalità della testimonianza una cosa
straordinaria, uno che ha fatto il suo dovere fino in fondo senza tentennamenti.
Sotto altro aspetto, l'assassinio di padre Puglisi esprime anche il
forte risentimento di Cosa nostra
contro la Chiesa, risentimento riconducibile al discorso di Giovanni Paolo II
nella “Valle dei Templi” del 9/5/93 quando, parlando a braccio, con voce
tonante, disse: "mafiosi convertitevi … una volta, un giorno, verrà il giudizio di
Dio!". Quel grido rappresenta un punto di svolta nella lotta contro la
criminalità organizzata, perché da quel momento la voce della Chiesa nei
confronti della mafia si è imposta con fermezza, senza tentennamenti. C‘erano
stati in passato, invero, lo dico così come ricognizione culturale del fenomeno
senza alcun intento polemico, atteggiamenti di taluna parte della Chiesa non
improntati al medesimo massimo rigore ma, dopo l'intervento del Papa, la Chiesa
non ha cessato di indicare con fermezza la mafia come un male assoluto. Può essere utile
ricordare la cronologia di questi fatti per argomentare e, in un certo senso
dimostrare, quanto vi ho appena sostenuto.
Il 9 maggio 1993 Giovanni Paolo II parla
ad Agrigento, probabilmente indotto da un commovente colloquio con i genitori
del magistrato Rosario Livatino (altro martire della giustizia) ucciso nel
settembre del 1990; il 28 luglio 1993 vengono posti in essere due attentati
contro due templi della cristianità: San Giovanni in Laterano e San Giorgio al
Velabro, entrambi a Roma. Vi assicuro che per la quantità di esplosivo
impiegato, oltre ai danni ai monumenti, quelle bombe avrebbero potuto causare delle
stragi di esseri umani. Il 15 settembre dello stesso anno viene ucciso don Pino
Puglisi. Il suo delitto è stato quasi la conclusione di un piano violento
avente come destinataria finale proprio la Chiesa e il suo nuovo forte
atteggiamento contro la mafia. E non è un caso, lo ripeto, che il gruppo di
fuoco che ha ucciso il sacerdote palermitano sia lo stesso che ha portato
avanti questa concertata azione criminale contro la Chiesa.
L'invettiva di Giovanni Paolo II ed il
martirio di padre Puglisi hanno veramente cambiato le coscienze e apportato
un'importante rivoluzione culturale e morale all’interno della Chiesa e nella
nostra martoriata terra.
Un altro aspetto di don Pino che vorrei
focalizzare e che ho potuto conoscere attraverso le testimonianze che ho
raccolto è dato dal fatto, invero un po’
singolare, che egli non fosse molto conosciuto a Palermo se non negli ambienti
ecclesiastici, nella facoltà di teologia e nei licei dove aveva insegnato. Non
faceva parte di quel “partito di preti
antimafia” che ogni giorno, in quel periodo, si facevano sentire e vedere
attraverso i media, alle volte con atteggiamenti un po’ plateali e tuttavia decisamente
non incisivi. No, la presenza di Don
Pino era come una voce silenziosa, perdonatemi l’ossimoro, non strepitava, non
urlava, svolgeva un'attività costante all’interno del quartiere finalizzata a sottrarre
agli sfruttatori le ragazzine che venivano avvicinate per essere indotte alla
prostituzione, a riportare alla legalità i ragazzi, figli di rapinatori,
destinati anch'essi a delinquere, a recuperare i giovani che si accostavano
alla droga con una meritoria azione formativa e di prevenzione.
Ma don Pino si occupava pure di fatti
apparentemente banali, eppure assai importanti in quel contesto, ad esempio ripristinare
una dignitosa situazione civica, dando la possibilità alla gente di Brancaccio
di riappropriarsi del proprio quartiere, di far funzionare l'illuminazione
pubblica, le fognature, di permettere ai bambini di andare a scuola,
contrastando la logica dei Graviano e dei loro “portaborse”, soggetti incapaci
di realizzare neanche le cose minime del convivere sociale.
Gli striscioni affissi sulla chiesa di San Gaetano il giorno dopo l'omicidio |
Don Pino era il garante di questa
attività civica, di questo convivere civile, scontrandosi non solo con i boss
mafiosi del quartiere ma soprattutto con la mentalità paramafiosa, con un modo di
fare politica clientelare e colluso, in una parola con l'antidemocrazia.
Ancora, voglio sottolineare come padre
Puglisi avesse un’idea molto chiara e lungimirante di quale dovesse essere l’autentico
atteggiamento del cristiano contro la mafia e di come dovesse essere trattato
il fenomeno del pentitismo e della dissociazione. Pentimento sì, ma pentimento operoso, di un'attiva
presa di distanza dalla mafia e contestualmente di collaborazione con lo Stato
con l’Autorità Giudiziaria.
Purtroppo nella mia esperienza professionale sono
venuto a conoscenza del fatto che, mentre don Pino perdeva la vita per
combattere con fermezza la mafia, altri dialogavano con i mafiosi, in un'ottica
di perdono che prescindeva da un percorso di collaborazione. Anche da questo
punto di vista padre Puglisi è stato un
rivoluzionario perché ha insegnato che non ci può essere pentimento, non ci può
essere perdono senza una reale operazione di ravvedimento. Questo dibattito non
ha attraversato soltanto la Chiesa, ma anche la magistratura, ovviamente non in
senso teologico ma giuridico, esigendo dai pentiti una collaborazione attiva, sincera
e produttiva.
Infine una testimonianza: io ho avuto la
fortuna di catturare, di arrestare, Salvatore Grigoli, che è stato quello che
ha materialmente sparato il colpo mortale alla nuca di Don Pino. Ho potuto interrogarlo
e poi, dopo pochi giorni di trattativa, indurlo alla collaborazione e a fargli
confessare ben 46 omicidi. Sì, avete capito bene, il killer di don Pino aveva
commesso ben 46 omicidi !
Io non so se sul pentimento di Grigoli ci
sia stato qualcosa di diverso dalla solita operazione giudiziaria, non so se
qualcosa si sia insinuato nella sua anima, so soltanto che Grigoli sentiva forte
il disvalore di quest'azione criminale, aveva ucciso 46 persone ma questo
omicidio, più di ogni altro gli gravava fortemente l'anima. Subito disse che voleva una vita diversa per i
suoi figli, ne aveva tre piccoli in quel momento, così si è messo nelle mani
dello Stato per seguire la via della legalità.
Chissà se sopra l’anima di Grigoli, al
momento del suo pentimento, non ci sia stata la mano di Don Pino Puglisi.
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Questo è il testo di un intervento a "braccio" di Luigi Patronaggio durante un convegno su don Puglisi organizzato all'istituto Don Bosco di Palermo (presieduto dal prof. Nicola Filippone che a suo tempo ha ideato e coordinato l'iniziativa): l'articolo viene ora inviato dal magistrato - che ringraziamo di cuore - al nostro blog con solo lievi modifiche: "Volutamente l'ho lasciato nella sua
forma originaria - spiega lui stesso - per non alterarne la forza comunicativa, essendo l'incontro
rivolto essenzialmente ai giovani studenti".
Ho conosciuto padre Puglisi e condivido in pieno quel che dice il magistrato!
RispondiEliminaRosa Rita Calamia
....grande Santo e grande magistrato.
RispondiEliminaLuigi Marinaro
Grandissimo santo
RispondiEliminaAlessandro De Luca
bell'intervento del magistrato Luigi Patronaggio sull'attività di don Pino Puglisi e sulle motivazioni della sua eliminazione.
RispondiEliminaGiuseppe Sunseri
Davvero una bella testimonianza. Grazie.
RispondiEliminaMichelangelo Nasca
Inserito qui sul blog e sulla pagina facebook collegata (qui sotto il link)
RispondiEliminahttps://www.facebook.com/BeatoGiuseppePuglisi
questo articolo ha avuto oltre 4 mila visualizzazioni in tre giorni. Ancora un grazie di cuore a Luigi Patronaggio per la sua testimonianza e l'attenzione per questo blog
Testimonianza "inedita" per me e bella bella assai !!!!
RispondiEliminaGino Varsalona