Padre Gaspare Di Vincenzo è un missionario comboniano impegnato in Congo, un paese dilaniato dalla guerra civile, dove la violenza dell'estremismo islamista aggrava una situazione di povertà estrema, minacciando l'esistenza stessa delle comunità cristiane. Non sono rari, purtroppo, i casi di sacerdoti e credenti vittime di violenza o crocifissi come gli antichi martiri. Per il nostro blog, padre Gaspare ha trovato il tempo di scrivere questa toccante testimonianza: è stato infatti tra i più stretti collaboratori di padre Puglisi sul finire degli anni Ottanta, all'epoca della sua conduzione del Centro diocesano vocazioni (Cdv). Con 3P ha condiviso il cammino della pastorale vocazionale nella Chiesa palermitana, non sempre agevole e non sempre compreso da tutti i sacerdoti. Padre Gaspare racconta anche la sua reazione alla notizia del delitto, la sua partecipazione ai funerali (portò a spalla la bara). Poi, a Licata, subito dopo ha fondato l'associazione giovanile "Centro 3P" che in questi anni ha aiutato un numero enorme di disagiati e migranti. Infine il ritorno in Congo da dove ci giunge questo splendido scritto che condividiamo con gioia.
di padre Gaspare Di Vincenzo
Ritornavo
dallo Zaire, l’odierna Repubblica Democratica del Congo, dopo circa 10 anni di
missione per aprire, insieme a p. Vittorio Ferronato, anche lui proveniente
dallo Zaire, una nostra presenza stabile di missionari comboniani a Palermo per
l’animazione missionaria e vocazionale. Era il mese di settembre del 1988 quando mettemmo piede a Palermo nei
locali attigui alla chiesa Madonna della Catena. Da qui, per motivi diversi,
abbiamo dovuto cambiare in un anno cinque residenze finché approdammo in locali
in affitto presso le Suore del Buon Pastore in via Riserva Reale. La missione
ci aveva preparati a vivere dell’essenziale per fare e rifare il fagottino e
spostarci nelle varie residenze. Vita da nomadi. Oltretutto fa parte del
carisma Comboniano vivere la missione nel « fare causa comune » tra i
popoli a cui si è mandati e soprattutto con i più poveri e abbandonati.
In
questo contesto palermitano c’è da aggiungere che provenendo dalla missione
dello Zaire avevo vissuto un’esperienza esaltante e difficile nello stesso
tempo. Infatti avevo conosciuto il carcere, gli arresti domiciliari, un
processo e l’espulsione della missione per 19 capi d’accusa, tutti inventati.
Processo che poi ho vinto e che mi ha permesso di rientrare in missione.
Dopo
qualche mese del nostro arrivo a Palermo incontro l’uomo, il sacerdote e
l’amico, padre Pino Puglisi, 3P. Lui era l’incaricato diocesano, per Palermo, e
regionale, per la Sicilia, dell’animazione vocazionale e io lo ero per i
missionari comboniani. Ci trovavamo con i rappresentanti di altre famiglie
religiose in via Matteo Bonello per preparare gli incontri di preghiera
vocazionale che mensilmente si vivevano al Gonzaga, dai Gesuiti. Con la sua
macchina ci recavamo agli incontri regionali e ai campi scuola con i giovani. Ricordo
molto bene l’accoglienza, la stima e la fiducia che ebbi da subito e che mi
aiutarono a superare certe difficoltà di inserimento nella realtà palermitana
che per me era del tutto nuova, come anche nella realtà siciliana che avevo
lasciato da diversi anni, dal 1972, quando, entrando tra i comboniani, iniziai
a Firenze i miei studi di teologia.
Dicevo
che la mia esperienza di missione esaltante e difficile nello stesso tempo mi aveva
segnato profondamente e psicologicamente facevo una certa fatica ad inserirmi.
Vivevo una mancanza di fiducia in me stesso. Ma l’uomo, il sacerdote e l’amico,
3P, che incontrai, per me fu determinante con il suo modo di fare e di rendersi
presente discretamente ma incisivamente a recuperare fiducia in me stesso. Non
ci dicemmo molte parole, ma lui ha subito capito il mio stato d’animo e mi
diede fiducia mettendosi all’ascolto di piccole proposte da realizzare e vivere
insieme.
Una delle prime cose che gli
proposi timidamente per l’animazione vocazionale fu quando gli dissi: "Don
Pino, guarda che ogni vocazione è per le missione". E lui subito, prontamente mi
rispose: "Lo vedi come il Signore ci vuole bene, era necessario il tuo
arrivo e la tua presenza per scoprire e vivere che ogni vocazione è per la
missione, bene aiutaci a scoprire questo dato essenziale".
Il cardinale Pappalardo celebra la messa con padre Puglisi |
E dopo qualche giorno
sono stato invitato alla presenza del Cardinale Salvatore Pappalardo al
consiglio presbiterale della diocesi di Palermo per parlare della missione, dei
due polmoni della missione con i quali la chiesa respira: ad intra e ad
extra. Per la prima volta nella mia vita
mi son trovato a fare una conferenza ai sacerdoti. Così pure nel preparare
gli incontri di preghiera vocazionale, 3P aveva sempre questa attenzione nel
chiedermi quale degli aspetti della missione si potevano inserire nell’uno o
nell’altro tema scelto. Per me tutto ciò
è stato vitale grazie all’uomo, al sacerdote e all’amico sempre attento alle
varie proposte da me suggerite. Vitale per un inserimento gioioso e libero nel
contesto della chiesa palermitana e siciliana. Vitale per un inserimento anche
nella pastorale giovanile della diocesi con don Carmelo Torcivia. Fino a
proporre e vivere un musical, «Forza venite genti», nella
cattedrale di Palermo, che vide, a detta del cardinale Pappalardo, per la prima
volta tanti giovani provenienti da tutte le parrocchie. Da allora gli incontri
di preghiera vocazionale mensili si spostarono dal Gonzaga in Cattedrale.
Ricordo
che, quando nel gennaio del 1993 lasciai Palermo e andai a salutare il
cardinale Pappalardo ebbe a dirmi: «Puoi ripartire felice per il
servizio reso alla nostra chiesa palermitana». Gli risposi che dovevo molto
a don Pino per la fiducia e la stima che mi ha mostrato.
Dopo
qualche mese a Roma per un corso, in agosto del 1993 chiesi ai miei superiori
di recarmi a Licata, a causa della precarietà della salute dei miei genitori,
per rendergli servizio.
Arrivando
a Licata, il vescovo di Agrigento Mons. Carmelo Ferraro mi ha incaricato della
pastorale giovanile della città e grazie a tutta l’esperienza acquisita con 3P
organizzai da subito alcuni giorni di mini-campo con i giovani delle varie
parrocchie di Licata per riflettere insieme e avviare un servizio pastorale con
e per i giovani della città.
Era
la sera del 15 settembre del 1993, quando trovandomi all’inizio di questa
esperienza con i giovani a Licata, giunse la notizia dell’assassinio di P. Pino
Puglisi a Palermo. Lascio i giovani e parto subito per Palermo a trovare
l’uomo, il sacerdote e l’amico che una mano assassina mi aveva tolto.
Partecipai
ai funerali e fui uno dei sacerdoti a portare sulle spalle, lungo tutto il
percorso, il feretro con la mano destra alzata in segno di vittoria.
Si, l’uomo,
il sacerdote e l’amico non mi era stato tolto, ma l’uomo, il sacerdote e
l’amico ha dato la vita come il suo Signore. Ho subito colto in questo
evento : il chicco di grano che caduto in terra porta molto frutto. Infatti
Gesù in questo passaggio del vangelo di Giovanni parla della sua morte,
parla anche della morte di ogni persona e ci manifesta un’importante verità. Il
chicco di grano ha in se stesso delle energie che hanno bisogno di trovare il
luogo ideale per liberarsi e manifestarsi. Se il chicco di grano resta solo
allora non produce niente. E qui l’evangelista vuole farci comprendere che in
ogni persona ci sono delle capacità e delle potenzialità che non si liberano
che attraverso se stesse. E Gesù getta una luce positiva sulla morte. In ogni
persona c’è una energia vitale che aspetta di manifestarsi in una maniera del
tutto nuova, e la morte è il momento che lo permette. Dunque la morte, invece
di imprigionare la persona la libera. La morte non diminuisce la persona ma
centuplica la sua forza. La morte non imprigiona la persona ma la dilata. In
ogni persona ci sono delle potenzialità che possono liberarsi e fiorire
soltanto nel momento della morte. Gesù toglie dalla morte ogni elemento
negativo di distruzione della persona e ne parla in termini di fioritura della
vita. E qui c’è tutto l’insegnamento delle beatitudini evangeliche che sono
state il programma di vita di 3P. Chi vive le beatitudini entra in una pienezza
di vita che la morte non può spezzare. (Carissimo
Francesco Deliziosi, ti ringrazio e te ne sono grato per aver pubblicato di recente su facebook alcune catechesi di 3P sulle beatitudini).
Rientrando
a Licata, trovo i giovani ancora in riflessione e gli propongo di dedicare
tutto il cammino che avremmo iniziato a P. Pino Puglisi. E così è nata
« L’associazione giovanile centro 3P » di Licata. Chicco di grano che
è diventata una spiga rigogliosa con il primo oratorio giovanile per Licata,
l’accoglienza dei tossicodipendenti, dei carcerati in misura alternativa alla
detenzione, degli immigrati che sbarcavano a Lampedusa come anche a Licata e lungo le coste dell’agrigentino. Tutte
realtà di servizio che hanno incontrato il segno della croce con denunce,
provocazioni, maltrattamenti, intimidazioni. Ma come dice San Daniele
Comboni : «Le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della
croce». La croce come prova della autenticità dell’opera e come
espressione dell’amore che si dona.
La
mano alzata in segno di vittoria: lo feci perchè 3P vivendo le beatitudini era già nella
pienezza della vita, in comunione con il suo Signore, Nessuno poteva
toglierla e dunque quella morte era una « convenienza ».
Infatti quando una persona
muore ed entra nella pienezza della vita, paradossalmente questo è una
convenienza per gli altri che rimangono, perché fintanto che c’era la vita
fisica era possibile, con la persona, il contatto delimitato dagli spazi, dal
tempo, non era un contatto continuo, era condizionato da limiti e dalle insufficienze
vitali della persona. Quando la persona entra nella dimensione definitiva, come
3P, continua l’amore di prima verso i suoi amici come per i suoi cari, ma
l’amore viene potenziato dalla capacità stessa d’amore da parte di Dio.
Quella
mano alzata in segno di vittoria fu per me l’illuminazione che quella morte causata
da una mano assassina era una morte in conseguenza a quel motto, che è tutto un
programma di vita di 3P « Si. Ma verso dove ? ».
L'adesivo "Si, ma verso dove?", lo slogan scelto da padre Puglisi per la sua attività vocazionale |
Una morte come
quella del suo Signore, per amore, una vita donata, per cui alla mano assassina,
con lo sguardo sorridente risponde : « me lo aspettavo ».
Infatti Gesù in Giovanni 16,7 ci dice : « Ora vi dico la
verità : è bene per voi che io me ne vada, perchè se non me ne vado, non
verrà a voi il Consolatore ».
E allora quel « SI. Ma verso
dove ? » del programma di vita di 3P indica con chiarezza che quel
« dove » è l’andare verso il Padre con un « Si » di
adesione totale e appassionato all’amico Gesù.
Quella morte non era più un
morto da piangere ma un già risorto nella pienezza di vita con il Padre che
come Gesù sprigiona tutta una energia vitale e una capacità d’amare che ci
accompagna.
3P ci testimonia che l’orientamento
dell’uomo è verso il Padre che è pienezza di vita e di amore. La direzione di
ogni uomo è andare al Padre, in questa direzione in cui all’amore ricevuto dal
Padre corrisponde un amore comunicato agli altri, che permetterà una nuova più
grande risposta d’amore da parte di Dio in un crescendo senza fine.
3P è il testimone fedele a Gesù
che non chiede di dare la vita per lui, ma chiede di dare la vita con lui e
soprattutto quello che è più drammatico, come lui, la morte riservata alla
feccia della società. Questa vita di 3P donata
per amore e con amore continua a sprigionare tanta energia vitale e tanta
capacità d’amare che alimenta e sostiene nella comunione dei santi il mio
cammino sacerdotale missionario in questo mio ritorno in missione.
Tante avrebbero potuto essere
le motivazioni per desistere da questo ritorno in missione all’età di 60
anni con delle febbri che non mi lasciavano. Infatti sono stato assalito dalle
febbri mentre mi trovavo a 450 km. dal capologo, Bondo, in una missione della
foresta, per la formazione dei catechisti, che avevo raggiunto in 5 giorni in
land-rover e non avevo come rientrare, perchè le piste erano impraticabili e in moto
non potevo viaggiare. Ma ecco che la Croce Rossa ha captato un messaggio e con
un piccolo aereo è venuta a tirarmi fuori della foresta e raggiungere così
l’Italia. A Brescia mi hanno trovato il denge, causato da una puntura di
zanzara diversa da quella della malaria. Il dottore che mi ha, per così dire,
curato, - perchè non ci sono medicine - mi disse che sono stato fortunato
perchè le febbri non sono state emorragiche e mi ha interdetto di ritornare in
missione in zona endemica perchè alle prossime febbri mi avrebbero fatto i
funerali. In missione sono ritornato e i superiori mi hanno inviato in una
missione in montagna a 1700 metri di altitudine, Butembo, per l’animazione
missionaria della diocesi, vasta due volte la Sicilia. Da due anni e mezzo non ho più contratto nessuna febbre.
L’uomo, il sacerdote, l’amico, 3P, nel suo
amore potenziato dal Padre, non mi lascia lungo il mio cammino a servire e a
donarmi per la missione tra i più poveri e abbandonati. In un contesto di
insicurezza del territorio con massacri continui di povere e inermi persone, il
sequestro di molti e la sparizione di tre preti assunzionisti probabilmente
crocifissi.
Quel chicco di grano continua a germogliare e porta frutti! Don Pino nel cuore.
RispondiEliminaMonica Volpe
Padre Gaspare, lei sa sempre lasciare un segno nel nostro cuore!
RispondiEliminaRossella Vizzi
Grazie per le cose che ci ha insegnato
RispondiEliminaErika Pranio
Splendida testimonianza!
RispondiEliminaMaria Mattina
Testimonianza.Dobbiamo pregare perché il Signore protegga sempre queste persone elette e ammorbidisca il cuore dei persecutori.
RispondiEliminaMariolina Romano
Grazie, padre Gaspare, per questa bellissima testimonianza. Mentre la leggevo, più volte sono tornato ad inizio del post a vedere la Sua foto messa sotto il titolo. Non vorrei sbagliarmi, ma ricordo che un giorno ( anno scolastico 1992/93 ) è venuto con padre Puglisi al liceo Vittorio Emanuele, che è vicino alla Cattedrale. Padre Puglisi era così: i suoi amici li faceva conoscere agli amici. Mi aveva parlato di un missionario comboniano. Ora sono in pensione e mi tornano tanti flash di ricordi e, a volte, mi resta un rammarico. Ero troppo preso dal lavoro e dalla responsabilità che avevo nel dirigere il liceo, al punto che a volte, distratto dai miei pensieri, non ho saputo cogliere il "senso" del gesto di padre Puglisi che era venuto a scuola e in presidenza con Lei. Grazie ancora per il Suo scritto. Antonio Raffaele
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