Manifestazione contro la mafia a Bagheria |
A Bagheria la Chiesa scende in campo al fianco dei 35 imprenditori e commercianti che hanno denunciato le richieste di pizzo, permettendo alla magistratura di emettere 22 ordini di custodia contro il racket delle estorsioni. Il documento che riportiamo è stato letto domenica 8 novembre 2015
durante le messe in tutte le parrocchie di Bagheria. Oltre a dare solidarietà a chi ha saputo rompere il muro dell'omertà, i parroci invitano i mafiosi alla conversione. Tra gli ispiratori del documento c'è don Francesco Michele Stabile, storico della chiesa, parroco a San Giovanni Bosco e coordinatore della commissione per l'istruttoria della causa di beatificazione di don Puglisi.
Da quando nel lontano 15 agosto
del 1982 in piena guerra di mafia che investì anche il nostro territorio,
allora tristemente chiamato “Triangolo
della morte”, le nostre Comunità ecclesiali alzarono il grido a favore di
questa città perché non ci
lasciassimo vincere dalla paura e ci
impegnassimo per la liberazione dalla mafia, tanto cammino è stato
fatto. Non sono mancate le difficoltà nel prendere coscienza della pericolosità
della mafia per la vita civile, per lo sviluppo della nostra imprenditoria e
per la vita religiosa. Si credeva allora,
da alcuni, che la mafia non fosse
presente nel nostro territorio e, da
altri, che la città proprio per la
presenza di un ordine protettivo mafioso
poteva rimanere indenne dal traffico della droga e dal pizzo. La grande marcia
del febbraio 1983 da Bagheria a Casteldaccia, ripetuta trent’anni dopo nel
2013, ha visto protagonista per la prima volta unita nel secondo dopoguerra tutta la società civile (studenti,
preti, sindacalisti, operai, professionisti, associazioni di vario genere). La
liberazione dalla mafia era diventata
patrimonio comune e ora doveva
coinvolgere la responsabilità di tutti.
Ciò che ci rende fiduciosi è che
in questi ultimi anni sono stati incarcerati gli autori di omicidi,
intimidazioni, pizzo, e di questo bisogna dare lode alle forze dell’ordine e
alla magistratura; ma soprattutto ci rallegra ora la notizia che
finalmente non uno, ma 35 commercianti e imprenditori bagheresi hanno sentito
il bisogno di non lasciarsi intimidire
dai delinquenti estortori e di collaborare con le forze dell’ordine. È un atto
di fiducia verso le istituzioni; non vorremmo però che episodi recenti di corruzione
di alcuni rappresentanti delle istituzioni compromettano
questa fiducia. Vogliamo sperare che questa svolta di Bagheria sia non solo il
frutto di una crescita della consapevolezza che senza legalità non si approda a
nulla, ma anche, di una vera crescita di
responsabilità morale. E di moralità in tutti i campi e a tutti i livelli abbiamo
necessità. Vorremmo che la
testimonianza di questi imprenditori e commercianti diventasse una strada spianata per tutti, anche
per la liberazione dal pizzo che a volte viene imposto da taluni non mafiosi a
danno della giusta paga dovuta agli operai.
Le nostre Comunità ecclesiali si
impegnano a continuare il loro compito di formazione delle coscienze al
rispetto della dignità della persona umana, di condanna di ogni forma di
violenza e di intimidazione;
ribadiscono che anche la sola appartenenza all’associazione mafiosa (anche nelle forme più sottili delle
contiguità finanziarie e politiche) è incompatibile con la professione di
fede cristiana nel crocifisso che si è donato
per l’umanità. A sua volta la fede in Gesù risorto, mentre fa vivere alla
comunità una nuova esperienza di liberazione incarnata nel tempo e nello
spazio, la rende capace anche di pregare perché gli aderenti alla
associazione mafiosa si convertano in questo anno santo della misericordia e
tornino al vangelo di Gesù Cristo per
sperimentare anche loro la liberazione dalla schiavitù del vitello d’oro, assetato
di dominio, sordo e muto dinanzi alla sofferenza degli oppressi.
Le Comunità ecclesiali non possono
infine non stringersi insieme a tutti gli uomini liberi attorno a questi nostri
coraggiosi fratelli e pregare per loro, per le loro famiglie, per il loro
lavoro. Auspicano che si possa uscire da un emergenza che non è solo di
illegalità, ma emergenza sociale che
attanaglia intere famiglie prive dei più elementari diritti.
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