domenica 14 febbraio 2016

BREGANTINI: DON PUGLISI, IL PRETE CHE SEMINA SPERANZA

Monsignor Giancarlo Bregantini

"Educare i giovani è l'arte più difficile del mondo ma insieme la più bella ed appagante". Lo sostiene monsignor Giancarlo Bregantini nella prefazione al libro "Padre Puglisi e i figli del vento": questo il titolo del volume scritto da Suor Carolina Iavazzo, prima responsabile del Centro Padre Puglisi e tra i più stretti collaboratori di Don Pino Puglisi a Brancaccio. Il libro racconta di Don Pino e narra la storia di tanti dei suoi ragazzi, storie vere intrise di speranza. Bregantini di Puglisi dice: "Un prete silenzioso ma forte, che predica parole evangeliche, prega molto, sfida il male con chiarezza, vive poveramente, sa sorridere di sé e della vita. Ma soprattutto semina speranza". E che ancora oggi sa "infuocare gli animi"
Con il consenso dell'autrice, pubblichiamo la prefazione.

di Giancarlo Bregantini


"Lo consiglio a tutti gli educatori questo libretto. Frutto di una pedagogia attiva, coinvolgente, sofferta. Ma autenticamente liberante.
Poiché segnata da lacrime, tale pedagogia segna il cuore di chi lo legge. 
E' un libro che nasce da un contesto difficile, da un'esperienza pressoché unica  e da un cuore che ama. Tre componenti che fanno la verità delle cose. Che tracciano il sentiero dell'educare, l'arte più difficile del mondo ma insieme la più bella ed appagante. 
Il contesto è il quartiere di Brancaccio di Palermo, segnato dall'insidia mafiosa, ma oggi reso famoso per la forza di antidoto ivi innescata dalla presenza di un prete silenzioso ma forte, che predica parole evangeliche, prega molto, sfida il male con chiarezza, vive poveramente, sa sorridere di sé e della vita. 
Ma soprattutto semina speranza. 
A cominciare dal cuore dei ragazzini.
E' padre Pino Puglisi. Il famoso 3 P, come argutamente lo chiamavano i suoi collaboratori.
La storia è ormai conosciuta. Grazie a Dio, questa vicenda attrae la Chiesa di oggi, specie quella del Sud, infuoca i seminaristi, fa sognare ogni prete che deve parlare di vangelo in ambienti duri, si fa modello di vocazioni nuove. Perché lui, padre Puglisi, era l'incaricato vocazionale della sua diocesi. Proprio quel cuore che tanto ama e tanto soffre, tanto fa sognare chi lo incontra, verso ideali alti e luminosi.


Ma padre Puglisi non vuol restare solo. Non fa l'eroe isolato. Non ama soluzioni individualistiche. Non è il prete antimafia. Ma coltiva un segreto, fatto di tre parole, che percorrono questo libretto, preziose come filoni d'oro: ascoltare, collaborare, coinvolgere. 
Con questo stile, i collaboratori sono il frutto più bello del suo lavoro. Ha plasmato ed educato ragazzini. Ma ancor più, ha lasciato un metodo nel cuore dei suoi.
Tra questi, c'era Suor Carolina, fin dall'inizio, con una piccola ma agile e compatta comunità di Suore.
Ardentemente  desiderate da padre Puglisi, si sono fatte sua ombra. Hanno condiviso speranze e lotte. Sogni e segni. Cuore ardente e labbra bruciata dal disincanto e dalla polvere.
Questo libro è scritto proprio da suor Carolina, che vi narra la storia di tanti di quei ragazzi. Con i loro nomi e le loro storie.
Si sente che scrive quello che realmente ha vissuto. Colpisce, nella austera semplicità del testo, la concretezza dei volti che vi vengono raccontati. Par di vederli Maria, Giacomo, Sandra, Teresa, Raffaele, Giovanni e Tobia, Mario e Roberto. Nomi come tanti. Ma dietro ogni nome, un volto e una storia.
La acutezza di questo libro è proprio questa: trarre da ogni storia, da ogni vicenda umana, un metodo per incontrare il cuore. E plasmarlo di speranza, vincendo quella rassegnazione e quella violenza di cui era intriso Brancaccio. 
Tante le ferite raccontate. Ma non sono descritte né con il gusto sadico dello specialista. Né con la penna stringente del giornalista. Ma con l'animo materno dell'educatrice, che vi vede delle ferite da guarire, trasformando le ferite in feritoie. Per poi, una volta trasformata la ferita in feritoia di speranza, imparare a guarire le altre ferite.
Educare, infatti, non è altro che passare dalle ferite alle feritoie. 
Una frase, imparata da Giovanni Paolo II, che mi ha molto aiutato nel mio cammino di prete e ora di Vescovo. Lungo strade e volti e storie di altrettanta durezza.
Per questo, mi ha fatto bene leggere questo libro. Mi ci sono ritrovato. Ma ancor più, ho imparato a rafforzare nel mio cuore, imprimendolo con chiarezza, il metodo di padre Pino Puglisi.
Lui è partito dai più piccoli, dai ragazzi del quartiere, per due motivi decisivi. Perché li vedeva i più fragili, quelli maggiormente segnati nel volto e nel cuore dalla violenza dei grandi. Sono i ragazzi e i bambini le prime vittime della mafia! Sempre. Sia a Brancaccio come a san Luca, nella mia diocesi di Locri-Gerace. I piccoli pagano e portano le colpe dei grandi. E allora, chi li ama, ne cura le ferite, arrivando fin nel cuore dei loro genitori. In un itinerario di intelligente strategia.
  Così emerge subito la seconda causa del suo investimento educativo: i bambini e i ragazzi, che nel cuore conservano intatto lo stupore di Dio pur se velato da tanta violenza ambientale, loro realmente potranno cambiare la mentalità negativa del quartiere. I piccoli faranno nuova la società. In quel loro stupore che li rende sempre capaci di dire OH! che meraviglia...!".
  Così impostato, il metodo si è fatto azione. Con scelte precise. Una fede forte, tenace, silenziosa, prima di tutto, mettendo Dio al primo posto. Pregato con lucidità e semplicità. Testimoniato con coerenza. Soprattutto nella scelta di vivere nel quartiere, solo, semplice, povero. Umile, essenziale.
Poiché è sempre la povertà la chiave della libertà. Per tutti, ma soprattutto per i preti e le suore!
Ma poi, subito, dalla fede si passa alla fiducia, come sempre avviene nei santi. Quella fiducia che sa scorgere il bene anche nelle storie più difficili. Da qui, lo stile del collaborare, dell'aggregare nel centro Padre Nostro per rafforzare la speranza, del far fare esperienza nuove, che permettessero ai ragazzi di vedere realtà diverse, belle, segnate dalla gioia della natura e non dal degrado della periferia.
Questo libro non è altro che una sequenza continua e fedele di questo metodo, trascritto dentro i nomi e i volti dei ragazzi.
Ecco, perché è bello e prezioso. Perché plasma le storie. Non parte dalla cattedra, ma dalla strada. Ma porta comunque alla cattedra, poiché pone degli itinerari pedagogici di vero stupore. Fatti di libertà e gioia. 
Quella gioia che ha accompagnato don Pino fin nel gesto ultimo del suo morire, immolato, ucciso dalla violenza, ma capace di cambiare il cuore del suo assassino  proprio tramite quel suo mite sorriso.
Suor Carolina, quel sorriso, se lo porta dietro. Percorre tutto il libro. Si fa fiducia, speranza di cambiamento in ogni realtà difficile. Ieri a Brancaccio, oggi nella Locride, realtà non facili, entrambe, ma segnate da quella forza di sperare contro ogni speranza. Per dire ai ragazzi difficili di oggi che nulla va perduto, se si è capaci di credere in loro. Oltre ogni schema precostituito che spesso, noi preti, ci facciamo, schiavi noi stessi, talvolta, dall'eccessiva preoccupazione del metodo.
Qui, il metodo non c'è. O meglio c'è. E come!
Ma non lo si vede. Lo si sente, nel cuore. Come nel cuore di ogni mamma. Che non ama perché ha studiato, ma poiché ama, trasforma e cambia!
Fortunato chi potrà leggere e studiare questo libro. Per farne speranza. Dentro le cose difficili, dentro le ferite. Perché tutte, le mie e le tue, quelle del Sud come quelle dell'opulento ma egoistico Nord...tutte si trasformino in feritoie di grazia.
            

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Dopo l'esperienza a Brancaccio con don Puglisi e una parentesi a Ragusa, suor Carolina si è trasferita nella Locride, dove nel 2005 ha fondato il Centro Padre Puglisi (www.centropadrepuglisi.it) in un territorio particolarmente difficile. Più precisamente il Centro d'Aggregazione giovanile è collocato a Bosco Sant'Ippolito, una piccola contrada del comune di Bovalino in provincia di Reggio Calabria. La nascita del Centro è stata fortemente desiderata dalla Fraternità "Buon Samaritano", una comunità di suore - di cui Carolina fa parte - a sua volta voluta da Mons. Bregantini, che poi nel 2008 è stato nominato vescovo a Campobasso. Il Centro è diventato un luogo di incontro per giovani e adolescenti; uno spazio aperto, palestra di vita umana e spirituale, formazione verso l'impegno responsabile; una valida alternativa alla strada, in un contesto dove le strutture sociali e sportive sono fortemente carenti.



1 commento:

  1. Queste parole ...sono degne di un grande vescovo,che ha lottato tanto per la legalità con l'arma della preghiera dell'amore e del riscatto dei giovani calabresi attraverso il progetto Policoro....
    Anna Maria Belfiore

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