giovedì 28 luglio 2016

BERTOLONE: PUGLISI SIMBOLO DI UNA CHIESA NON PIU' COMPIACENTE

"Don Pino, martire di mafia": 
l’uomo che morì sorridendo ai suoi killer
di Francesco Antonio Grana  
Il Fatto quotidiano 7 luglio 2016


Monsignor Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di beatificazione






Non servono solo i miracoli per diventare santi. C’è anche la strada del martirio “in odio alla fede”. Ed è in questo secondo percorso che si inserisce il processo di beatificazione che ha portato agli altari don Pino Puglisi quale primo martire di mafia della Chiesa cattolica. Una novità assoluta avvenuta nel 2013, pochi mesi dopo l’elezione di Papa Francesco, quando il parroco del quartiere Brancaccio di Palermo è diventato il beato Pino Puglisi. “3P”, come amavano chiamarlo i suoi ragazzi, fu ucciso nella tarda serata del suo 56esimo compleanno, il 15 settembre 1993, davanti al portone di casa dai killer Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza. “Me lo aspettavo”, furono le sue ultime parole. Appena un anno dopo la beatificazione di Puglisi arrivò la scomunica di Bergoglio ai mafiosi durante l’omelia della messa celebrata in Calabria nella piana di Sibari. Un appello alla conversione, figlio di quello pronunciato da Karol Wojtyla ad Agrigento il 9 maggio 1993 dopo gli omicidi di mafia dei magistrati Rosario Livatino, di cui è in corso la causa di beatificazione, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un monito che Francesco ha rivolto anche nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia. Parole e gesti che rivivono nel libro ‘Don Pino. Martire di mafia‘ (Ares), la nuova opera scritta da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di canonizzazione di Puglisi. 
“Era un parroco fastidioso che spaventava Cosa Nostra – sottolinea il presule che ricorda quanto affermato dal killer Giovanni Drago affiliato alla mafia e poi pentito – Don Pino era una spina nel fianco. Predicava, predicava, prendeva i ragazzini e li toglieva di strada. Faceva processioni, gridava di lottare. Questo era sufficiente, anzi era sufficientissimo per farne un obiettivo da togliere di mezzo”. Per Bertolone Puglisi “diventa il simbolo concreto di una Chiesa che non è più quella di certi parroci compiacenti e di certi cappellani carcerari, pronti a riverire e servire i mammasantissima al Grand Hotel dell’Ucciardone, ma che si fa incontro al prossimo ai crocicchi della vita, per svolgere una funzione evangelicamente educativa. Questa è la mafia che uccide Puglisi”. Il presidente del Senato Pietro Grasso, autore della prefazione del volume, sottolinea che “uno dei miracoli di don Pino è stato quello fatto con il suo sorriso ai killer che lo stavano per uccidere: due mafiosi feroci che si sono convertiti e hanno dato un grande contributo per l’accertamento della verità e della giustizia anche recentemente, facendo riaprire indagini importanti come quella sulla strage di via d’Amelio”. Il martirio di don Pino Puglisi non è purtroppo un’eccezione. Bergoglio, come ricorda il curatore del volume Salvatore Cernuzio, vaticanista di Zenit, ripete spesso che “oggi ci sono più testimoni, più martiri nella Chiesa che nei primi secoli”. 
Secondo il giornalista “il sangue versato da don Pino Puglisi sui marciapiedi di Brancaccio basterebbe da solo a mostrare quanto quest’affermazione di Papa Francesco non sia solo uno slogan ma l’immagine cruda e nitida di una tragica verità. Don Pino è, a tutti gli effetti, un testimone e un martire del nostro tempo; un parroco del Sud come tanti, tuttavia straordinario nella sua ordinarietà, vittima di un sistema di potere come la mafia, basato sulla paura, le estorsioni, le minacce. E su un tacito consenso sociale, purtroppo. Lui contro questa forza oscura, che nella Sicilia del suo tempo era pronta a divorare giovani e adolescenti, ha opposto solo la forza del Vangelo. Nulla più”.

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