Migliaia di persone in strada a Palermo per la "Festa dell'onestà" il 3 settembre. Padre Puglisi rievocato per le sue capacità di maestro ma anche per scelte ben precise che gli facevano diventare le orecchie rosse...Scelte che ancora oggi sono una sfida per la Chiesa.
“Gli inchini delle processioni
davanti alla casa del boss? Di recente, appena eletto presidente dei
vescovi siciliani, in una conferenza stampa mons. Salvatore Gristina,
arcivescovo di Catania, ha tenuto a sottolineare che è tempo di
aprire gli occhi e dire basta. I parroci devono stare più attenti e
i vescovi sorvegliare. Se è il caso, il percorso delle processioni
va coordinato con le questure. Ebbene, appena arrivato a Brancaccio,
agli inizi degli anni ‘90, padre Pino Puglisi cambiò il percorso
della processione parrocchiale proprio per evitare soste davanti alla
casa dei capimafia. Dopo più di 25 anni, ecco che la Chiesa
siciliana raccoglie quella voce profetica e mette all’ordine del
giorno una questione non più rinviabile”.
Da sinistra suor Fernanda Di Monte, Francesco Deliziosi, la prof. Maria Lo Presti e don Maurizio Francoforte |
E’ uno dei passaggi più applauditi
dell’intervento del giornalista Francesco Deliziosi alla “Festa
dell’onestà” che si è tenuta il 3 settembre per l’intera
giornata lungo il Cassaro a Palermo. Sul palco principale (montato
sul piano della Cattedrale) dalle 18 si sono alternati Caterina
Chinnici, che ha ricordato in modo toccante il padre Rocco, Deliziosi
(in compagnia dell’attuale parroco di Brancaccio, don Maurizio
Francoforte - l’incontro era moderato da suor Fernanda Di Monte) e
infine Nando Dalla Chiesa figlio del generale ucciso dalla mafia,
proprio il 3 settembre del 1982. Associazioni e gruppi di
volontariato con i loro stand hanno riempito di vita corso Vittorio
Emanuele II affollato da migliaia di persone (qui il programma completo con l’elenco di eventi e partecipanti).
Francesco Deliziosi (allievo e amico
del sacerdote e autore della biografia “Pino Puglisi-il prete che
fece tremare la mafia con un sorriso”, Rizzoli) dal palco ha
ripercorso il metodo pedagogico del sacerdote-martire che si può
dividere in tre fasi: l’ascolto dei giovani, l’esperienza della
vita comunitaria nei campi scuola estivi, la scelta vocazionale. Un
maestro che accoglie e accompagna, che non ha mai la ricetta pronta,
che stimola il giovane a trovare da solo la soluzione, con le proprie
risorse. Un Don Bosco dei nostri giorni, con la passione per il
riscatto sociale degli emarginati.
Il giornalista ha poi sottolineato che
ovunque quei luoghi sono carichi della memoria di padre Puglisi: dal
liceo Vittorio Emanuele II dove insegnò dal 1978 alla morte, ai
locali di via Matteo Bonello che ospitavano il Centro diocesano
vocazioni (che guidò per tutti gli anni ‘80), alla stessa
Cattedrale dove riposano le sue spoglie e dove si tenne la camera
ardente: “In migliaia – ha ricordato Deliziosi – siamo andati a
trovarlo. La bara aperta era all’altare principale, una benda
bianca nascondeva la ferita, ma lui era là col suo ultimo sorriso
stampato ancora sul volto”.
Il giornalista ha fatto un paragone tra
padre Puglisi che muore sorridendo ai suoi assassini (e il sorriso
non scompare neanche dopo la morte) e i martiri dei primi secoli che
morivano torturati o sbranati mentre cantavano lodi al Signore. I
soldati dell’imperatore, quando recuperavano i poveri resti,
trovavano i martiri sorridenti e lieti in volto. L’impressione che
ciò provocava era la causa di conversioni a catena.
Il palco della Festa dell'onestà davanti alla Cattedrale. A destra il liceo Vittorio Emanuele II |
Ma Deliziosi ha poi voluto aggiungere:
“Non ho voluto fare una agiografia. E – per evitare di
trasformare il santo in un santino - a mio parere è giusto
riflettere sulle cose concrete che padre Puglisi faceva a Brancaccio.
In parole povere, quali furono le occasioni in cui gli divennero le
orecchie rosse...”. Persona mite e umile, il sacerdote aveva questa
reazione quando proprio rischiava di perdere la calma: “Oltre
all’episodio profetico della processione che cambia percorso,
ricordo – ha detto il giornalista - come mise alla porta il
Comitato per le feste di San Gaetano che voleva spendere decine di
milioni di lire per luminarie, fuochi d’artificio e show in
piazza”. “Qui a Brancaccio la gente muore di fame – disse –
non lo permetterò. E la religione non c’entra nulla con questo
tipo di feste”.
Ancora orecchie rosse quando politici
dell’epoca tentarono di fare della parrocchia una grancassa
elettorale. “Con quale faccia vi presentate qui dopo quello che
avete fatto al quartiere?”, disse loro una volta. E quando un
candidato (eletto senatore e poi condannato per mafia) spediva in
parrocchia i suoi fac-simili, padre Puglisi strappava la busta senza
neanche aprirla.
Sorveglianza su processioni, funerali e
confraternite, strada sbarrata per inchini e comitati delle feste,
stop al collateralismo delle parrocchie con la politica, attenzione
agli ultimi, ai poveri, ai più bisognosi: questa – ha concluso il
giornalista - è la sfida che la Chiesa deve raccogliere per
assorbire e fare propria la lezione di padre Pino Puglisi.
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