di Francesco Deliziosi
"Usciamo
stasera dai nostri egoismi, dai nostri cinismi, e sogniamo con Santa
Rosalia
il Regno di Dio tra di noi, una Sicilia diversa, una Palermo nuova,
che è alla nostra portata, che è nelle nostre mani.
Così pensavano già molti secoli fa i Padri della Chiesa, così pensava san Basilio, che diceva ai suoi cristiani che erano loro le mani di Dio, che ad operare nella storia era Dio per mezzo di loro. Basilio voleva dire ai suoi che la fede dei cristiani non è la passiva attesa di un miracolo, ma l’impegno umile, quotidiano, liberante, per fare un mondo nuovo. Lo dicevano, e soprattutto lo facevano, Paolo Borsellino e don Giuseppe Puglisi".
Così pensavano già molti secoli fa i Padri della Chiesa, così pensava san Basilio, che diceva ai suoi cristiani che erano loro le mani di Dio, che ad operare nella storia era Dio per mezzo di loro. Basilio voleva dire ai suoi che la fede dei cristiani non è la passiva attesa di un miracolo, ma l’impegno umile, quotidiano, liberante, per fare un mondo nuovo. Lo dicevano, e soprattutto lo facevano, Paolo Borsellino e don Giuseppe Puglisi".
Parole
dell'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, pronunciate a piazza
Marina per il tradizionale Festino della Patrona. L'accostamento di
Borsellino e don Puglisi è arrivato proprio alla fine del discorso
alla città che conclude la processione delle reliquie di Rosalia:
un'occasione solenne per ricordare due cristiani che hanno offerto la
propria vita qui e ora in nome di "un impegno umile e
quotidiano" ma "liberante" e in grado di creare "un
mondo nuovo".
E
proprio di questo impegno civile ma anche di fede parla l'ultimo
libro della giornalista Alessandra Turrisi ("Paolo
Borsellino, l'uomo giusto", edizioni San Paolo). Uno scavo nella
memoria di quanti sono stati veramente amici del magistrato ucciso in
via D'Amelio e lo ricordano con una serie di testimonianze inedite
come uomo dello Stato e padre affettuoso, magistrato ma anche "un
picciuttunazzo" (un ragazzone scherzoso), come lo definisce nel
volume don Cosimo Scordato.
Un
libro bello e necessario che dà voce a molti che non hanno
partecipato in questi 25 anni alla grancassa mediatica in cui tutti
erano amici di "Paolo e Giovanni". Una biografia atipica
che ripercorre le tappe della carriera e aneddoti sconosciuti,
restituendoci il ritratto di un uomo eroico e fragile ma sempre
giusto nelle sue scelte, in famiglia come sul lavoro. Il racconto
sale poi
come
in un climax che stringe il cuore fino ai capitoli in cui già il
sentore della morte si fa strada, il pericolo è un compagno
quotidiano.
Eppure
Borsellino non si tira indietro. Consapevole del rischio ma anche del
proprio dovere. Sa di essere un sopravvissuto, soprattutto dopo la
strage di Capaci, ma
conosce pure il dovere morale di continuare a fare il suo lavoro
"senza lasciarsi condizionare dalla sensazione o, financo,
vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costare caro".
Qui
si innesta la parte più originale e preziosa del lavoro di
Alessandra Turrisi e in particolare il capitolo 4 in cui viene
descritto Borsellino come credente e cattolico praticante: un uomo
che "quando va in Chiesa, entra in ginocchio ed esce in
ginocchio".
Ascoltando
le testimonianze dei sacerdoti che lo hanno conosciuto, confessato,
aiutato per lunghi anni, la giornalista per la prima volta traccia il
profilo
di un uomo di fede intensamente vissuta. E' questa la radice della
sua "pietas", della misericordia con cui affronta ogni
indagine, consapevole che ogni uomo – anche il mafioso più feroce
– merita rispetto e può anche essere rieducato e recuperato alla
società. Come giudice è severo ma mai spietato. Accoglie con favore
l'invito alla conversione lanciato all'altare
da
Rosaria Schifani, fino agli ultimi giorni va a messa, alla vigilia
della strage si confessa: "Vedi, mi sto preparando", dice a
don Cesare Rattoballi.
Se
lo aspettava, di essere ucciso. Proprio come don Puglisi che ai suoi
assassini disse appunto "Me l'aspettavo". E il libro
approfondisce questo parallelo tra
i due:
la
consapevolezza della morte in arrivo e il senso del dovere sostenuto
dalla fede portano dritti dritti verso l'attualità del martirio
cristiano.
Insieme
con quello di Rosario Livatino, il nome di Paolo Borsellino – per
volere di Giovanni Paolo II – è stato inserito nell'elenco stilato
in occasione
della
cerimonia giubilare al Colosseo (7 maggio 2000) dedicata ai martiri
di ogni tempo e ai "testimoni della fede".
In
questa prospettiva teologica – come il libro fa bene a
sottolineare, oserei dire con coraggio in una società laicizzata
come la nostra – il martirio è il prezzo richiesto dalla fedeltà
a Cristo. Nei vari contesti storici in cui si incarna la
testimonianza, il cristiano-prete come il cristiano-magistrato o il
cristiano-poliziotto accetta il sacrificio estremo in nome del Bene e
della Giustizia.
E
proprio pochi giorni fa – l'11 luglio – è stato reso noto il
"Motu proprio" (dal
titolo "Maiorem Hac Dilectionem")
di
Papa Francesco destinato ad allargare la
visuale della Chiesa su queste vicende. Nelle nuove norme volute da
Bergoglio
si
legge:
Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri
amici” (Gv 15,
13).
"Sono
degni di speciale considerazione ed onore quei cristiani che,
seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù,
hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri ed
hanno perseverato fino alla morte in questo proposito".
"È
certo – scrive ancora il Papa - che l’eroica offerta della vita,
suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed
esemplare imitazione di Cristo e, pertanto, è meritevole di quella
ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro
che volontariamente hanno accettato il martirio di sangue o hanno
esercitato in grado eroico le virtù cristiane".
Nei
primi due articoli della Lettera Apostolica (il testo completo a questo link si
legge di uno storico ampliamento delle vie possibili per la
beatificazione del cristiano che ha offerto la propria vita.
Articolo 1
L’offerta
della vita è una nuova fattispecie dell’iter di
beatificazione e canonizzazione, distinta dalle fattispecie sul
martirio e sull’eroicità delle virtù.
Articolo 2
L’offerta
della vita, affinché sia valida ed efficace per la beatificazione di
un Servo di Dio, deve rispondere ai seguenti criteri:
a)
offerta libera e volontaria della vita ed eroica accettazione propter
caritatem di una morte certa e a breve termine;
b)
nesso tra l’offerta della vita e la morte prematura;
c)
esercizio, almeno in grado ordinario, delle virtù cristiane prima
dell’offerta della vita e, poi, fino alla morte;
d) esistenza
della fama di santità e di segni, almeno dopo la morte;
e)
necessità del miracolo per la beatificazione, avvenuto dopo la morte
del Servo di Dio e per sua intercessione.
In
sostanza, il Papa ha creato le basi per una nuova riflessione
teologica sui cristiani che offrono e perdono la vita per la carità
(cioè per l'Amore, per la dedizione al Bene dei propri fratelli e in definitiva per la Giustizia).
Per coloro che sono consapevoli del rischio ma non tornano indietro,
non ripudiano quella forza, quella fede che li ha spinti.
Nasce
quindi una terza via che si affiancherà a quelle già note del
martirio "in odium fidei" (come don Puglisi, per la cui
causa non è stato necessario accertare una guarigione) e delle virtù
eroiche. Occorrerà adesso vedere come la Congregazione per le Cause
dei Santi in Vaticano vorrà muoversi, ma c'è una speranza in più –
grazie a questo Motu Proprio – anche per l'iter della
beatificazione del giudice Rosario Livatino, avviato da tempo nella fase
diocesana e che ora potrebbe giovarsi di questo allargamento di prospettiva.
Ma
l'istituzione dei beati "propter caritatem" ha un
significato ben più ampio, che investe anche la lettura di figure
già beatificate come appunto don Puglisi ma anche mons. Oscar
Romero.
Lo ha spiegato mons. Vincenzo Paglia, postulatore
della causa di Romero,
in questi termini: “L’arcivescovo
di El Salvador non è stato ucciso da persecutori atei affinché
rinnegasse la fede nella Trinità: è stato assassinato da cristiani
perché voleva che il Vangelo fosse vissuto nella sua profonda
intuizione di dono della vita. E questo è un aspetto già emerso in
passato nel cammino che ha portato alla beatificazione di padre
Massimiliano Kolbe e di don Pino Puglisi e che si ripresenta in
quella di monsignor Romero.
“Il
Concilio Vaticano II chiede a tutti i cristiani oggi, per la
situazione in cui ci troviamo a vivere, di essere martiri ossia di
dare la vita per il Signore e per gli altri. Ad alcuni il Signore
chiede la vita fino all’effusione del sangue ma a tutti chiede di
dare la vita per gli altri. In questo senso – conclude mons. Paglia
– riscoprire il martirio come dono della vita significa
comprenderne appieno il significato in tutta la sua forza. Anche
oggi”.
E,
con queste considerazioni, il dono della vita di Paolo Borsellino
assume allora una luce e un sapore ancora più abbagliante e saziante
per chi ha fame e sete di Giustizia.
carissimo francesco sempre il migliore grazie di cuore che esisti per me quando ti conosciuto sei stato un punto di riferimento etico morale per battere le mafie e' necessario che ognuno di noi faccia il proprio dovere ciao a presto carlo mellea soverato
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