La tomba di Puglisi. A sinistra il quadro oggetto dell'articolo di don Stabile |
A 25 anni dall'omicidio di mafia, nell'imminenza della visita del Papa a Palermo, padre Pino Puglisi rischia di essere trasformato in un santino? Il suo esempio imbalsamato e reso sterile, "relegato agli aspetti cultuali, senza legami con la vita e la storia". Don Francesco Michele Stabile, storico della Chiesa, è stato coordinatore della prima commissione diocesana che istruì la causa di beatificazione. E nel recente passato è stato anche critico sulla "Peregrinatio" delle reliquie del beato. Adesso teme "forme di sacralizzazione" del martire e ritiene che sia necessario "salvaguardare la ferialità di Puglisi come santità buona per tutti". In questo articolo inviato al blog beatopadrepuglisi.it che state leggendo analizza lucidamente questo rischio e fa una proposta: togliere il quadro che campeggia da qualche tempo accanto alla tomba del sacerdote in Cattedrale e rimetterci l'immagine reale, la fotografia che fu scelta per la beatificazione al Foro Italico nel 2013. (francesco deliziosi)
Don Francesco Michele Stabile |
Campeggiava
sul Foro Italico di Palermo in una grandiosa immagine solare il
sorriso di padre Giuseppe Puglisi, rivestito degli abiti del
quotidiano, nel giorno in cui veniva dichiarato ufficialmente beato
dalla Chiesa perché ucciso dalla mafia in odio al suo annunzio del
vangelo. Un santo del nostro tempo, un santo che non faceva miracoli,
ma che traduceva Gesù Cristo nella vita di ogni giorno. Era il 25
maggio del 2013. Erano venuti a migliaia da tante parti della Sicilia e
dell’Italia per sentirsi partecipi di quell’evento come a dare un
consenso popolare a quella proclamazione solenne.
Si
era arrivati alla beatificazione dopo non poche difficoltà.
Innanzitutto perché non appariva evidente un martirio in odio alla
fede secondo la tradizione millenaria della Chiesa. I mafiosi
venivano ancora riconosciuti come battezzati e avevano sempre
mostrato deferenza verso la Chiesa e gli uomini di chiesa e mai
avevano attaccato verità di fede, anche se potevano essere
considerati peccatori quando commettevano il male. Ma fu compreso
finalmente che la mafia è un’altra religione che agisce in
contrapposizione al vangelo, perciò contro la giustizia, contro
l’amore e la dignità di ogni uomo.
Ci
si è dovuti spogliare così di una visione sacrale della vita e
della storia nella quale il male, pure quello di mafia, poteva
trovare una sua collocazione anche se come peccato, perché il male
fa parte della condizione umana. Spogliarsi della visione sacrale ha
significato che i processi storici sono modificabili non solo come
conversione personale ma anche come conversione delle strutture della
società perché è l’uomo responsabile della sua storia.
E
Puglisi non era uomo del sacro immutabile, ma uomo di una storia
umana che può essere trasformata “se ognuno fa qualcosa”, se le
istituzioni si aprono al servizio di ogni uomo e non degli interessi
di pochi. Si mise Puglisi a servizio dei giovani, delle sue comunità
parrocchiali di Godrano e di Brancaccio, dei poveri. Questa coerenza
evangelica lo fece uomo di rottura in una ambiente segnato dalla
dominazione mafiosa, perché inseriva fermenti che aprivano spazi
nuovi alla coscienza religiosa e sociale. La sua azione profetica
aveva il sapore del vangelo e fu ucciso dalla mafia che veniva
delegittimata nella sua aureola di rispetto formale del sacro.
Sul
piano ecclesiale inizialmente ci fu una certa difficoltà a dire
apertamente che era stato ucciso della mafia, si sottolineava il suo
impegno di prete e per questo era stato ucciso da non si sapeva bene
chi. Nella lapide murata dentro la chiesa di Brancaccio la parola
mafia non fu scritta. La sua morte rischiava di essere una morte
fuori dalla storia, come una realtà ormai sacrale senza tempo.
Perciò
scrivo ora, e scrivo con un certa tristezza, perché avvicinandosi la
venuta del papa non vorrei che passasse come icona ufficiale a
25 anni dalla morte una immagine di Puglisi trasformato in un
“santino” di devozione. Era quello che non volevamo quando è
iniziata la causa del riconoscimento del martirio. Si temeva che
questo prete del coraggio quotidiano venisse separato dagli
altri uomini uccisi dalla mafia i quali consapevolmente avevano
sacrificato la loro vita per gli altri. Dichiarare ufficialmente
martire Puglisi sembrava a molti di noi invece rottura definitiva di
un silenzio o comunque di una indifferenza da parte di certo mondo
cattolico ufficiale nei confronti della mafia, desiderio di affermare
che la mafia è incompatibile con il vangelo, che la questione
mafiosa non è solo problema che riguarda lo Stato e la società
civile, ma realtà che interpella la comunità ecclesiale e la sua
fedeltà all’annunzio evangelico e che richiede una umile
confessione, un mea culpa delle inadempienze, a volte anche
delle compromissioni, e un impegno a un annunzio del vangelo che non
diventi insignificante.
Molti
dissero che Puglisi non era un prete antimafia per contrapporlo ai
preti che si impegnavano nella lotta alla mafia. Ma sarebbe non
capire la vita donata di Puglisi a favore dell’uomo.
Affermare polemicamente che Puglisi non era un prete antimafia, quasi
a volere salvaguardare una immagine sacrale del prete, sarebbe
aberrante se si vuole sottintendere che il prete non si deve
sentire impegnato contro il male di mafia. Per il prete Puglisi
l’impegno di liberazione dalla mafia non era supplenza estranea al
suo ministero di prete, sgorgava come esigenza propria della
sua testimonianza evangelica che è liberare l’uomo da ogni forma
di male e di oppressione per aiutarlo a vivere nella libertà
l’incontro con Cristo. E la mafia è un nodo scandaloso che blocca
ogni crescita dell’uomo nuovo secondo il vangelo.
Riconoscere
il prete Puglisi sulla scia del Concilio Vaticano II significa
rendersi conto che a lui interessava non la salvezza astratta
dell’anima, ma la salvezza dell’uomo nella sua integrità di
essere corporeo e spirituale inserito in un contesto storico e in un
territorio. E la salvezza che Cristo propone è processo di
divinizzazione dell’uomo che ha inizio dentro la storia e
coinvolge tutto l’uomo fino al compimento finale dell’abbraccio
di Dio. La storia umana e la salvezza non camminano su binari
paralleli, ma dopo che Cristo si fatto carne della nostra carne,
nella storia umana Dio continua a rivelarsi. Non esiste quindi una
storia sacra accanto a una storia profana. La sacralità è la carne
umana cioè la persona umana e la sua dignità divina. Peccato è
intaccare la dignità della persona umana, non riconoscerla come
carne della nostra carne negando solidarietà e cura. Queste
convinzioni Puglisi le viveva profondamente e perciò ritengo sia
importante trasmettere una immagine di Puglisi che possa essere
compresa dai giovani di oggi.
Dopo
questa premessa mi sembra opportuno fare un proposta che non vuole
essere una critica, ma un suggerimento. L’immagine fotografica di
Puglisi, che campeggiava al Foro italico e che è presente in tante
parrocchie, fin dall’inizio fu messa accanto alla sua tomba in
cattedrale. Recentemente è stata sostituita da una nuova immagine
pittorica che presenta Puglisi in abiti sacrali di culto, quasi
avvolto da un manto sotto il quale scompaiono i lineamenti del suo
corpo fino quasi ad annullare la sua corporeità. Una immagine, al di
là del valore artistico, che, a mio parere, comunica un messaggio di
un Puglisi diventato “santino”, toglie il valore di una santità
del quotidiano, relegandola agli aspetti cultuali senza legami con la
vita e la storia. Non so quanto un giovane possa identificare la
propria vita con quella immagine di Puglisi paludato. Il messaggio di
un prete che ha vissuto la sua santità nella quotidianità, che
invitava i giovani a incontrare Gesù Cristo nella gioia delle
esperienze umane, che vestiva senza abito clericale per una scelta di
vicinanza e di condivisione con i giovani e la gente comune,
potrebbe essere vanificato da una sacralità lontana e inaccessibile.
Mi
auguro che per la venuta del papa ritorni a campeggiare accanto alla
tomba e nel Foro italico il sorriso di Puglisi nella sua veste
feriale, immagine che sicuramente sentiamo più vicina alla nostra
quotidiana esistenza.
L'immagine di padre Puglisi scelta per la cerimonia di beatificazione |
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