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domenica 19 agosto 2018

PENNISI: LA MAFIA SI E' VERGOGNATA DI AVER UCCISO DON PUGLISI




"Pure la stessa mafia si è vergognata di aver ucciso don Puglisi e cercò di mascherare il delitto come una rapina. Dopo il discorso di Giovanni Paolo II ad Agrigento avevano capito di non poter più scendere a patti". L'analisi di monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, alla presentazione del volume "Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto" a Terrasini, sabato 18 agosto.


L'intervento di mons. Pennisi


"Nei verbali degli interrogatori dei suoi uccisori risulta come, colpendo don Pino, si volesse colpire la Chiesa. Si voleva colpire un prete scomodo, che invece di limitarsi soltanto a fare le processioni, magari facendole gestire al comitato di certi mafiosi, invece educava alla fede, educava al Vangelo". E' netto il giudizio di monsignor Michele Pennisi sull'omicidio di padre Puglisi, così come la sua analisi sul periodo storico del 1993. "Il 9 maggio – prosegue l'arcivescovo di Monreale – c'è il discorso di Giovanni Paolo II ad Agrigento, una condanna delle stragi Falcone e Borsellino ma anche un invito ai mafiosi a convertirsi. Subito dopo, in quell'estate, vi sono stati gli attentati alle chiese a Roma, San Giovanni in Laterano, che è sede della cattedrale del Papa, e a San Giorgio al Velabro. E non sono stati a caso. La mafia in quel momento ha incominciato a capire come con la Chiesa non poteva più scendere a patti. La Chiesa era un nemico potente, per cui aveva paura ad attaccarla frontalmente, però voleva darle dei segnali. E il terzo segnale è stato dato con l'uccisione, il giorno del suo compleanno, di don Pino Puglisi".



L'intervento di mons. Pennisi è un'acuta ricostruzione storica e scuote l'affollata platea della sala conferenze del Museo d'Aumale a Terrasini ("affollata – sottolinea l'arcivescovo con una battuta – nonostante la concomitanza con la partita della Juventus"). La manifestazione che l'arcivescovo presiede, sabato 18 agosto, è la presentazione del volume "Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto" (Rizzoli), del giornalista Francesco Deliziosi. "Un libro – ha sottolineato mons. Pennisi – opera di chi l'ha seguito da vicino e amato, che raccoglie con dedizione i suoi scritti e i suoi insegnamenti, le testimonianze di chi l'ha conosciuto nel suo impegno di evangelizzazione e di promozione umana". Tornando al delitto, l'arcivescovo ha sottolineato altri aspetti: "E' stata un'uccisione che la mafia ha cercato di mascherare perché la stessa mafia si vergognava di compierlo! Cercarono di fingere una rapina, fu usata una pistola di basso calibro. In realtà questo omicidio è scaturito in odio alla fede, perché don Puglisi, con il suo ministero sacerdotale di catechesi, di educazione dei bambini, di aggregazione delle famiglie, costituiva nel quartiere un contraltare alla mafia dominante. Allora i mafiosi di Brancaccio, i Graviano, hanno capito che bisognava eliminarlo. La mafia l'ha ucciso perché la logica mafiosa è incompatibile con quella del Vangelo. Don Pino diceva che noi abbiamo un Padre Nostro, per questo ha intestato il suo centro al Padre Nostro, come a dire che non abbiamo bisogno di padrini. Dire questo in quell'ambiente significava delegittimare i fratelli Graviano, delegittimare la mafia".
Mons. Pennisi ha anche ricordato il suo rapporto personale con Pino Puglisi: "L'ho conosciuto negli anni Ottanta quando ero rettore del seminario di Caltagirone e direttore dell'ufficio diocesano vocazioni mentre lui era responsabile dell'ufficio regionale vocazioni. E mi invitò una volta a tenere una conferenza per tutti i responsabili su questo tema: la cresima sacramento delle vocazioni cristiane. Come si vede già dal titolo, sulla pastorale vocazionale che era agli inizi ebbe delle intuizioni profetiche, oggi passate nella chiesa universale. Ho avuto modo di approfondire questa amicizia nel 1984, perché quasi per un anno, ogni sabato, ho cenato con lui. Mi recavo infatti a Palermo per coordinare l'area culturale del Convegno delle Chiese di Sicilia. Quando è stato ucciso sono rimasto sconvolto, non credevo ai miei occhi perché lo conoscevo come un sacerdote coraggioso ma anche molto mite, con il sorriso sulle labbra. Ho ritrovato adesso il telegramma che mandai al cardinale Pappalardo all'indomani della morte: "Unito in preghiera, partecipo al dolore della Chiesa di Palermo per il vile assassinio di padre Giuseppe Puglisi, amico carissimo, annunciatore mite e coraggioso del Vangelo, perla del clero palermitano, sperando che il suo sacrificio contribuisca all'incremento delle vocazioni ecclesiali, alla diffusione della civiltà dell'amore e alla sconfitta delle barbarie mafiosa".
La manifestazione è stata organizzata dall'associazione "Così per passione" (attiva dal 2004 a Terrasini) presieduta da Ino Cardinale che ha sottolineato come si sia trattato della centesima presentazione di un libro, una "coincidenza fortemente simbolica, trattandosi di don Pino Puglisi". Cardinale ha anche sottolineato come i diritti d'autore del volume di Deliziosi saranno devoluti in beneficenza. All'inizio hanno portato i saluti a nome della Regione il direttore del museo D'Aumale Ferdinando Maurici e a nome della comunità di Terrasini il sindaco Giosuè Maniaci.
Nei giorni scorsi e poi durante l'iniziativa il volume di Francesco Deliziosi è stato letto e analizzato da sei lettori esponenti del mondo delle professioni e dell'impegno cattolico (Angelo Cinà, Andrea Di Gangi, Adalberto Magnelli, Angela Rivolo, Monica Supporta, Filippo Tocco) che hanno elogiato il lavoro per la minuziosa ricerca dei documenti ma anche per l'impatto della lettura che porta non solo un accrescimento della conoscenza della vita di don Pino ma anche stimoli di riflessione e di arricchimento spirituale.
L'associazione "Così per passione" è in questi giorni impegnata nell'organizzazione della terza edizione della festa del quotidiano Avvenire prevista dal 30 agosto al 2 settembre. E proprio Avvenire quest'anno sostiene il progetto del Centro Padre Nostro per la costruzione di un asilo nido a Brancaccio di cui ha parlato il presidente Maurizio Artale, a lungo applaudito dalla platea: ha raccontato come - pur non avendo conosciuto direttamente padre Puglisi - in questi anni si sia impegnato per realizzare in concreto i suoi sogni di migliorare le strutture e l'assistenza sociale a Brancaccio. Toccanti le storie dei giovani del quartiere seguiti dal Centro Padre Nostro, da Francesco salvato dall'aborto a Carmelo che non aveva mai visto le stelle perché il padre lo mandava a rubare. Francesco Puglisi ha tratteggiato la figura del fratello e il lutto subito. Nel ricordo ha voluto delineare soprattutto il suo carisma di evangelizzatore e la sua forza d'animo che lo portava a risolvere con una battuta le situazioni più pesanti della sua vita.
Mons. Pennisi col giornalista Deliziosi


In conclusione l'autore, Francesco Deliziosi, ha sottolineato che una serata del genere realizza l'obiettivo che si era dato quando ha ideato il volume: ridare voce a padre Puglisi. "Defunctus adhuc loquitur": è proprio l'incipit del volume, "benchè morto, parla ancora". La sua vita, i suoi scritti sono raccolti per temi, dalla povertà alla vocazione, dall'amicizia al matrimonio e ognuno potrà percorrere un viaggio nella memoria attingendo alla miniera del suo pensiero e della sua personalità. In particolare il capitolo sulla Chiesa povera e per i poveri ci fa capire quanti siano i punti in comune con le indicazioni pastorali di Papa Francesco che il 15 settembre sarà a Palermo per commemorarlo.
C'è però un rischio ben preciso, ha ricordato il giornalista: finita la serata, tornare a casa e non cambiare nulla nella nostra vita, nella nostra Chiesa. Don Pino è invece un profeta che non tace, una spina nel fianco, non accetta di essere ridotto a un santino. E in pochi punti Deliziosi ha voluto delineare quello che è il modello di evangelizzatore e di educatore che padre Puglisi ci ha lasciato e che tutti dovremmo cercare di mettere in atto per essere fedeli al suo insegnamento e degni del suo sacrificio:
"Il sacerdote- martire metteva quotidianamente in pratica uno stile che ora deve diventare un modello:
  • la povertà personale per essere credibile e non solo credente (di chi non teme di portare ai piedi scarpe bucate);
  • la preghiera e le Missioni Popolari tra la gente (per annunciare Gesù casa per casa);
  • la formazione dei volontari (per un vero servizio disinteressato);
  • l’analisi anche scientifica dei bisogni del territorio (grazie all’apporto di esperti professionali);
  • la trasparenza dei conti della parrocchia (quanti rischi da evitare, legati all’amministrazione dei soldi in chiesa!);
  • la moralizzazione delle feste popolari (non si possono ammettere sprechi di denaro per cantanti e fuochi d’artificio);
  • il controllo delle confraternite e dei percorsi delle processioni (basta con inchini sotto certi balconi dei boss!);
  • la corresponsabilità e il coinvolgimento dei laici nella parrocchia (abbandonando il clericalismo);
  • l'essere coscienza critica delle autorità civili dormienti o colluse(evitando ogni forma di collateralismo con i partiti).
Sono queste le vere sfide per la Chiesa se vorrà incarnare sul serio la
lezione di padre Puglisi e trasformare le sue ferite nelle stimmate
della resurrezione".



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