Da sinistra Giuseppe Savagnone, Giuseppe Castronovo, Francesco Deliziosi |
Un libro che ridà voce a don Pino Puglisi, quella voce che i suoi assassini volevano spegnere. Ripercorrere i suoi scritti raccolti nel volume "Se ognuno fa qualcosa si può fare molto" è un modo per ravvivare la memoria e alla fine chiedersi: cosa posso fare io per essere degno del suo sacrificio?
E' la domanda che ha rivolto il professore Giuseppe Savagnone agli intervenuti alla presentazione del volume il 3 settembre scorso alla libreria Tantestorie di via Ariosto a Palermo. Era presente l'autore del libro, Francesco Deliziosi, il magistrato Nicola Aiello. Ha moderato l'incontro il titolare della libreria Giuseppe Castronovo. Ecco l'intervento del professore Savagnone.
Giuseppe Savagnone
Vorrei cominciare col dire che questo è un libro diverso dagli altri scritti su padre
Puglisi, perché contiene una miniera di discorsi, relazioni, riflessioni dello
stesso don Pino e consente di mettersi in contatto diretto con lui. E’
insomma, quasi un libro “di” Puglisi, più che su di lui. Perciò potrà
costituire un punto di riferimento per la ricerca futura.
Un prete del piano terra.
Il libro contiene un ritratto dell’umanità di don Pino quale
poteva fare solo uno che l’aveva non solo conosciuto, ma frequentato a lungo,
da amico e da discepolo. (pp.12-13). Era un prete del piano terra, quello a contatto con la gente. Mentre spesso accade che la Chiesa ufficiale è quella del piano nobile che vive di documenti ufficiali, di convegni, di grandi discorsi che non arrivano alla gente comune. E invece don Pino proprio alla gente comune prestava attenzione, prestava ascolto.
Non un eroe e neppure un assistente sociale: un prete
Non era un eroe. Era “soltanto” un prete che prendeva sul
serio la sua missione, al punto da identificarsi con essa. Come Cristo.
Qualcuno ha detto: «Guai alla terra che ha bisogno di eroi».
Neppure la Chiesa ne ha bisogno. Però quelli
che la fanno crescere sono i santi. E questi, anche se per la loro
canonizzazione si richiede il possesso di “virtù eroiche”, le esercitano spesso
in modo molto diverso da come si aspetterebbe il “mondo”: nella semplicità del
dono senza riserve del proprio tempo e delle proprie forze, nella continuità
della fatica quotidiana, nella libertà interiore dall’ambizione e dalla sete di
successo. Padre Puglisi – dai testi qui raccolti emerge chiaramente – era così.
Per lui essere presbitero non era un’attività, un mestiere.
Era un dono, fatto a Dio prima che agli uomini, ma che si manifestava nella sua
totale disponibilità a questi ultimi.
L’obbedienza oltre il protagonismo
E lo faceva non esclusivamente in nome proprio, quasi
dimostrando, implicitamente, la propria superiorità rispetto agli altri
presbiteri meno “bravi” e motivati di lui, ma come uno dei tanti preti della
Chiesa di Palermo. Non era un “battitore libero”, non era un contestatore, non
era un audace “progressista” ai limiti dell’ortodossia. E’ andato dove il suo
Vescovo lo ha mandato e in nome di lui, come ogni parroco dovrebbe fare, e ha
guidato la comunità in sintonia con lui, senza mai credersi vescovo o papa
della propria parrocchia. Ha sempre obbedito, intendendo l’obbedienza come va
intesa, e cioè non come una passiva sottomissione, magari piena di repressa
amarezza, ma come un libero dialogo in cui si espongono le proprie ragioni (ed
eventualmente le proprie critiche) ai superiori, senza però mai volersi
sostituire ad essi e accettando che, alla fine del confronto, è a loro che Dio
dà il carisma della decisione.
In tutto questo, non c’è stato nulla di “straordinario”. Don
Pino Puglisi è stato un prete tremendamente “normale”.
Niente che potesse attirare l’attenzione dei giornali o della televisione.
Niente che lo mettesse in luce, rendendolo famoso o facendogli fare carriera.
Egli non è stato mai sotto i riflettori e non ha fatto altra carriera che
quella del suo sacrificio. Ma forse è proprio questa oscurità la sua segreta
grandezza.
Il rapporto con la mafia: martire “in odium fidei”
E' stato beatificato perché martirizzato «in odium fidei». Cosa vuole dire? C'è una sorta di portata
religiosa della mafia. Il boss Leoluca Bagarella ha detto più di una volta a un suo
aiutante, poi “pentito”: «Io ho la possibilità domani mattina di decidere se
una persona dovrà vedere o meno il sole (…) Tu lo capisci che io sono simile a
Dio?».
E uno studioso come padre Francesco Michele Stabile ha osservato: «La mafia è una forma di ateismo perché colloca un uomo – o un gruppo di
uomini – come detentore della totalità del potere e del sapere. In altri
termini, non accetta che vi sia un’istanza più alta al di fuori di essa (…) Uno
solo ha il diritto di decidere, di agire (…) Ma questo è contro il vangelo,
contro la dignità della persona umana, contro la libertà dei figli di Dio».
Oltre il ritualismo da una parte, il secolarismo dall’altra
Don Pino si è battuto per la speranza delle persone, tutte intere. Questo
gli ha permesso di sfuggire alle logiche unilaterali che a volte vedono il
prete appiattirsi su modelli sociologici impropri: di funzionario-burocrate, o
di assistente sociale, o di leader sindacale, o di combattente dell’anti-mafia.
Ma lo ha anche liberato dal rischio, non meno grave, di restare chiuso in un
ritualismo senza riferimenti alla vita reale, o in un intimismo spiritualistico
che rifugge dalla complessità e dalla problematicità dell’impegno concreto.
La storia del suo lavoro a Brancaccio è esemplare. Ha lottato
per la scuola media e per le missioni popolari, per bonificare le strade
malfamate e per risanare i cuori feriti.
Il primato del Vangelo
Sì, il Vangelo. La fonte della spiritualità di Pino Puglisi
è stata sempre la Parola di Dio. Non per
nulla aderiva ad un movimento che dell’annuncio del Vangelo fa, fin nel
nome, la propria specifica missione (la Presenza del Vangelo).
Egli stesso, in un testo che viene citato più avanti, racconta di come la sua
consuetudine confidente con Gesù sia nata solo dopo aver avuto un contatto vivo
e diretto con la Sacra Scrittura. Le testimonianze dicono che la portava sempre
con sé anche nelle gite in campagna o in montagna con i suoi ragazzi. Perché il
Verbo di Dio che ha creato l’universo è lo stesso Gesù che ha camminato per le
strade del mondo e che è morto in croce per salvarci.
Un educatore, capace di rapporto personale
Sapeva che se non si formano i giovani tutto il resto è
inutile. E la mafia lo ha temuto per questo.
Realizzava l’accompagnamento personale. Coloro che sono
cresciuti col suo aiuto raccontano che sapeva ascoltare. Oggi che quasi
nessuno, nelle nostre comunità, lo fa più, misuriamo l’importanza di una simile
disponibilità dal vuoto che il suo venir meno ha prodotto. Siamo in una società
dove chi vuole essere ascoltato non va più in chiesa, ma dallo psicologo. Un
motivo ci sarà. E come stupirsi, allora, se – nell’eclisse della vecchia
“direzione spirituale” – tanti giovani crescono senza punti di riferimento,
sbandati umanamente e spiritualmente? Don Pino instancabilmente ascoltava. È
l’essenza di quello che più opportunamente potremmo chiamare oggi
“accompagnamento spirituale”, che non è fare predicozzi, ma innanzi tutto stare
vicino a qualcuno e fargli “da specchio” affinché, oggettivando i suoi
problemi, possa fare chiarezza dentro se stesso.
Maestro di preghiera perché pregava
3P, come lo chiamavano scherzosamente, pregava. Il rapporto
segreto con Dio era la sua forza, la sua risorsa, il suo futuro. Non poteva
fare a meno della celebrazione della messa quotidiana, anche se non la imponeva
ai ragazzi che formava. Può sembrare ovvio, per un prete, e purtroppo non lo
è. Le sue battaglie, anche quelle più “terrene”, hanno portato
sempre la traccia profonda di questo riferimento alla Trascendenza, mai
puramente nominale, mai di etichetta, ma vissuto momento per momento, anche
nelle situazioni più convulse. Nel libro tutto questo viene descritto, Puglisi «si alzava all’alba per pregare» e fu un maestro di preghiera.
Maestro di pensiero e di cultura
perché leggeva e pensava
Nel libro si legge ancora: "E, alla fine della giornata, esausto si
addormentava sulla poltrona mentre leggeva" .
Era un prete senza conto in banca, con
le tasche vuote e la casa (popolare) piena di libri. Nella casa di 3P al momento della morte c’erano più di
tremilacinquecento volumi. A questi vanno aggiunti quelli che tuttora sono
custoditi al Centro vocazioni (circa trecento, per lo più di pastorale
giovanile) e quelli dati in «prestito permanente» agli amici.
Il testo sottolinea molto l’amore di padre Puglisi per i
libri, non in forza di una passione di bibliofilo o di un astratto
intellettualismo, ma per la consapevolezza del ruolo che essi possono svolgere
nella crescita intellettuale e spirituale delle persone, dei giovani in primo
luogo. Non si tratta di contrapporre la lettura ai nuovi mezzi di
comunicazione, né tanto meno di demonizzare questi ultimi. La civiltà della
scrittura non si è sostituita, ma integrata a quella, più antica, dell’oralità.
Perché non dovrebbe accadere lo stesso, oggi, con quella multimediale, rispetto
alle precedenti? Il problema non sono YouTube e Facebook, ma l’unilateralità di un approccio che spesso ne esclude
altri, insostituibili, come sono, appunto, i rapporti personali e la lettura.
Dicevo prima, per quanto riguarda i primi, del rarefarsi del dialogo nelle
nostre parrocchie. E mi chiedo in quante di esse oggi si ha cura di mantenere
una biblioteca di libri da prestare ai ragazzi per aiutarli a riflettere, a
capire…
Nel volume di Deliziosi si legge infatti che questi libri li prestava a dei ragazzi per insegnare loro
a leggere.
Un maestro di impegno perché testimoniava e insegnava il servizio agli
altri
Quello di don Pino non era un vago spiritualismo. E ai
ragazzi insegnava, oltre che a leggere il Vangelo e a pregare, a “sporcarsi le
mani” nel servizio concreto alle persone più deboli e povere.
Una catechesi fondata sulla riflessione antropologica: i campi-scuola
Non partiva dalla fede – spesso più immaginata che reale –
per impartire formule preconfezionate. Partiva dai problemi dei giovani. «Per gli
adolescenti una domanda su tutte: “ Che senso ha la vita?”» (p.386). Il Vangelo è
una risposta, ma l’interesse per ciò che annunzia esige che si siano poste e domande.
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