mercoledì 3 luglio 2019

Il libro di Lorefice: don Puglisi maestro di libertà




Giovedì 4 luglio 2019, alle ore 19, nei locali della parrocchia di San Gaetano a Brancaccio, presentazione del libro “Siate figli liberi! Alla maniera di Pino Puglisi” di mons. Corrado Lorefice, San Paolo Edizioni. Intervengono padre Antonio Spadaro, sj direttore de “La Civiltà cattolica”, don Vito Impellizzeri, docente della Facoltà teologica di Sicilia e Valentina Casella della Comunità parrocchiale di San Gaetano. Modera lo scrittore Vincenzo Ceruso. Sarà presente l’Arcivescovo. Pubblichiamo la recensione del volume scritta dal giornalista Francesco Deliziosi per Poliedro, mensile della diocesi di Palermo, di giugno 2019. Deliziosi, allievo e amico di don Pino, è anche autore della biografia "Don Puglisi - il prete che fece tremare la mafia con un sorriso" e della raccolta degli scritti "Don Pino Puglisi - Se ognuno fa qualcosa si può fare molto", entrambi pubblicati da Rizzoli.
Mons. Corrado Lorefice e il giornalista Francesco Deliziosi






di Francesco Deliziosi

Nel ”Fiore del dolore” il grande poeta Mario Luzi invita a rileggere il caso don Puglisi non con il metro della cronaca, che ha il fiato corto, ma con "il linguaggio alto della profezia", che è il codice di interpretazione proprio della Chiesa. In quel testo, don Pino appare come il prototipo del martire cristiano, un dono di Dio alla comunità come conforto spirituale nel momento di peggior scoramento (ricordiamo che nel 1992, l'anno prima, erano stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino). Nell’opera teatrale sono fondamentali i versi del finale: ”(Guardiamo) dove è più nero l’abominio/sorgere l’astro più radioso (...) il genio e la energia della testimonianza/prorompere dal più reietto stato dell’umanità/perseguitata. Tutto questo abbiamo visto/ nell’epoca dei mostri/I Kolbe, i don Milani ed ecco il nostro/padre Giuseppe morto ammazzato nella sua irresistibile passione”. Dio ci ama e dona i martiri come seme di rinascita. Padre Puglisi ucciso dai mafiosi è come padre Kolbe fatto morire dai nazisti nella sua cella ad Auschwitz. Due omicidi in odio alla fede di due giganti del Novecento. Due luci, nel buio delle stragi di mafia e della guerra mondiale, che devono essere uno stimolo per la nostra palingenesi.
Proprio col "linguaggio alto della profezia" è scritto in modo incisivo e coinvolgente l'ultimo libro di don Corrado Lorefice "Siate figli liberi – Alla maniera di Pino Puglisi" (San Paolo, 144 pagine 12 euro) che cita a piene mani Luzi e la sua lettura catartica della tragedia di Brancaccio.
A venticinque anni dall'omicidio del sacerdote-martire è il momento di far fruttificare il dono, di raccogliere la sua eredità senza farlo diventare un santino prima ancora che un santo.
Alla luce della visita pastorale di Papa Francesco a Palermo, il 15 settembre scorso, accogliere e riconoscere il martire significa accogliere e riconoscere la Parola di Cristo che si fa presenza concreta nella storia degli uomini, nella storia di una Palermo bella e terribile, biblicamente, come un esercito schierato a battaglia. Vogliosa di tornare la città felicissima ma sempre in bilico, pronta a deragliare verso la Palermo irredimibile di sciasciana memoria.
Padre Pino Puglisi, detto 3P, nota don Corrado, non è stato un "prete anti-mafia", ma un uomo, un cristiano, un sacerdote che ha vissuto fino in fondo il Vangelo là dove il Signore l'ha voluto. E questo ha dato fastidio alla mafia, lo ha reso insopportabile come la vista del giusto per i peccatori. Il cuore dell'eredità di don Pino è allora il ritorno al Vangelo "sine glossa" che ci fa essere porta, casa, ospedale, campo, oratorio soprattutto per coloro di cui abbiamo la responsabilità della formazione, i bambini. Ma anche per i poveri, gli ultimi della città degradata.
I bambini e i poveri: per queste due categorie visse don Pino e per loro diede la vita. "Con i bambini siamo ancora in tempo", diceva quando spiegava il suo progetto pastorale che portò alla fondazione del Centro Padre Nostro. E a me – che ho avuto la grazia di averlo come amico e direttore spirituale per 15 anni - una volta spiegò: "Non riesco a immaginarmi in una Chiesa che non sia in mezzo ai poveri", per giustificare il suo rifiuto di un incarico come parroco in un quartiere-bene di Palermo.
Qui c'è un filo rosso che unisce Papa Francesco, don Pino e don Corrado che in questo libro riprende e riporta a unità nella figura del martire i temi che attraversano le sue precedenti opere: Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II, Milano 2011; La compagnia del Vangelo. Discorsi e idee di don Pino Puglisi a Palermo, Reggio Emilia 2014; La povertà della Chiesa, Marzabotto (Bo) 2017; Il volto di una Chiesa povera, Cinisello Balsamo (Mi) 2018.
La scelta di povertà di padre Pino Puglisi è infatti un tema tornato d’attualità – all’interno del clero e non solo – dopo che Papa Francesco, appena eletto, ha detto di volere «una Chiesa povera e per i poveri». 3P non aveva conto in banca, viveva in una casa popolare in affitto, piena solo di libri e che non aveva mai pensato a riscattare. Aveva una Fiat Uno scalcagnata, comprata al mercato dell’usato. Quando lo andavamo a trovare di sera a casa ed eravamo a ridosso dell’orario di cena, portavamo tacitamente qualcosa da mangiare (magari anche le pizze che gli piacevano molto). Perché sapevamo che nel suo appartamento potevamo trovare solo qualche scatoletta e, nel frigo perennemente vuoto, le solite olive nere e un pezzo di salame. A volte lo invitavamo a cena a casa nostra: mia moglie preparava il pollo con le patate e lui mangiava solo le patate, scusandosi. Alla carne infatti preferiva le zuppe. E le sue preferite erano quelle di lenticchie. Il suo stipendio di insegnante serviva a pagare il mutuo che era stato acceso per acquistare la palazzina del Centro Padre Nostro. Ciò che rimaneva e quel che gli toccava come parroco era diviso per i mille bisogni del quartiere. Credo che nessuno possa dire di averlo mai visto chiedere soldi per amministrare un sacramento (a proposito delle tariffe in uso in molte parrocchie, esecrate da Papa Francesco). Durante le sue messe, il cestino per le offerte non veniva fatto passare tra i banchi ma era collocato in un angolo. «Ho visto troppa gente – mi disse – allontanarsi dalla Chiesa perché sentiva troppo odore di soldi». La sua era una scelta di povertà francescana vissuta con consapevolezza e non ostentata ma evidente a tutti. In tanti anni credo di averlo sempre visto col suo logoro giubbotto blu e mai con un cappotto, nonostante il freddo intenso che c’era nelle aule del liceo Vittorio Emanuele II dove insegnava. Una volta alcuni studenti gli regalarono un maglione griffato e lui, con molto tatto, fece capire che quel dono andava cambiato con "qualcosa di più modesto".
La scelta di abbracciare da povero i poveri deriva in don Pino dalla stagione conciliare. I laici possono infatti chiedersi in cosa consista la scelta preferenziale per i poveri da parte della Chiesa. Si tratta di un empito di buonismo? Di un “animus” da benefattori? Ha scritto don Corrado nel suo volume La compagnia del Vangelo: "Nella persona di Puglisi riemerge l’esigenza sorta al Concilio (ben lungi ancora dall’essere recepita) di una Chiesa povera e dei poveri...disseppellita ora con efficacia di segni e parola da Papa Francesco. Puglisi si è sentito chiamato, rispondendo con prontezza e totalità, a farsi povero nella logica dell’amore infinito (smodato!) di Dio in Cristo Gesù. Per don Puglisi – scrive ancora l'arcivescovo di Palermo – i poveri non sono solo destinatari di sostegno economico, ma inconfutabile luogo teologico". Nel nuovo libro questi concetti vengono sviluppati alla luce della tante prese di posizione di Papa Francesco: nella Chiesa povera c'è la scelta di rinunziare alle proprie sicurezze, di affrancarsi dai compromessi con i poteri di questo mondo, di esprimere piena solidarietà con quanti cercano la giustizia, la libertà e la pace. Don Puglisi, con la sua scelta della povertà, al di là delle parole, ha pro-vocato non solo la sua comunità parrocchiale ma altresì la Chiesa palermitana e dell’intera Isola a riscoprire la sua nativa chiamata a essere povera, con e per i poveri. 3P era convinto che solamente somigliando a Cristo povero, la Chiesa rivela al mondo, nella sua stessa carne, la logica del Regno. Da qui l'autodefinizione di don Pino: "Non sono un teologo, non sono un biblista, sono solo uno che ha cercato di costruire il Regno di Dio". E se Papa Francesco viene oggi contestato anche dentro la Chiesa, riflette don Corrado, è proprio per la scomodità di queste indicazioni, che si applicano in primis alla tragedia generazionale dei migrantiIn conclusione, don Pino metteva quotidianamente in pratica nella sua umile vita uno stile che ora deve diventare un modello pastorale che passa attraverso questi punti, tutti scomodissimi quanto le parole del Pontefice:
  • la povertà personale per essere credibile e non solo credente (di chi non teme di portare ai piedi scarpe bucate);
  • la preghiera e le missioni popolari tra la gente (per annunciare Gesù casa per casa);
  • la formazione dei volontari (per un vero servizio disinteressato);
  • l’analisi anche scientifica dei bisogni del territorio (grazie all’apporto di esperti professionali);
  • la trasparenza dei conti della parrocchia (quanti rischi da evitare, legati all’amministrazione dei soldi in chiesa!);
  • la moralizzazione delle feste popolari (non si possono ammettere sprechi di denaro per cantanti e fuochi d’artificio);
  • il controllo delle confraternite e dei percorsi delle processioni (basta con gli inchini sotto certi balconi);
  • l’essere coscienza critica delle autorità civili dormienti o colluse (evitando ogni forma di collateralismo con i partiti).
Sono queste le vere sfide per la Chiesa se vorrà incarnare sul serio la lezione di padre Puglisi e trasformare le sue ferite nelle stimmate della resurrezione. Il dono del martirio in un seme di rinascita evangelica.

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