Giovedì 4 luglio 2019, alle ore 19, nei locali della parrocchia di San Gaetano a Brancaccio, presentazione del libro “Siate figli liberi! Alla maniera di Pino Puglisi” di mons. Corrado Lorefice, San Paolo Edizioni. Intervengono padre Antonio Spadaro, sj direttore de “La Civiltà cattolica”, don Vito Impellizzeri, docente della Facoltà teologica di Sicilia e Valentina Casella della Comunità parrocchiale di San Gaetano. Modera lo scrittore Vincenzo Ceruso. Sarà presente l’Arcivescovo. Pubblichiamo la recensione del volume scritta dal giornalista Francesco Deliziosi per Poliedro, mensile della diocesi di Palermo, di giugno 2019. Deliziosi, allievo e amico di don Pino, è anche autore della biografia "Don Puglisi - il prete che fece tremare la mafia con un sorriso" e della raccolta degli scritti "Don Pino Puglisi - Se ognuno fa qualcosa si può fare molto", entrambi pubblicati da Rizzoli.
Mons. Corrado Lorefice e il giornalista Francesco Deliziosi |
di Francesco Deliziosi
Nel ”Fiore del dolore”
il grande poeta Mario Luzi invita a rileggere il caso don Puglisi non
con il metro della cronaca, che ha il fiato corto, ma con "il
linguaggio alto della profezia", che è il codice di
interpretazione proprio della Chiesa. In quel testo, don Pino appare
come il prototipo del martire cristiano, un dono di Dio alla comunità
come conforto spirituale nel momento di peggior scoramento
(ricordiamo che nel 1992, l'anno prima, erano stati uccisi Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino). Nell’opera teatrale sono fondamentali
i versi del finale: ”(Guardiamo) dove è più nero
l’abominio/sorgere l’astro più radioso (...) il genio e la
energia della testimonianza/prorompere dal più reietto stato
dell’umanità/perseguitata. Tutto questo abbiamo visto/ nell’epoca
dei mostri/I Kolbe, i don Milani ed ecco il nostro/padre Giuseppe
morto ammazzato nella sua irresistibile passione”. Dio ci ama e
dona i martiri come seme di rinascita. Padre Puglisi ucciso dai
mafiosi è come padre Kolbe fatto morire dai nazisti nella sua cella
ad Auschwitz. Due omicidi in odio alla fede di due giganti del
Novecento. Due luci, nel buio delle stragi di mafia e della guerra
mondiale, che devono essere uno stimolo per la nostra palingenesi.
Proprio col "linguaggio
alto della profezia" è scritto in modo incisivo e coinvolgente
l'ultimo libro di don Corrado Lorefice "Siate figli liberi –
Alla maniera di Pino Puglisi" (San Paolo, 144 pagine 12
euro) che cita a piene mani Luzi e la sua lettura catartica della
tragedia di Brancaccio.
A venticinque anni
dall'omicidio del sacerdote-martire è il momento di far fruttificare
il dono, di raccogliere la sua eredità senza farlo diventare un
santino prima ancora che un santo.
Alla
luce della visita pastorale di Papa Francesco a Palermo, il 15
settembre scorso, accogliere e riconoscere il martire significa
accogliere e riconoscere la Parola di Cristo che si fa presenza
concreta nella storia degli uomini, nella storia di una Palermo bella
e terribile, biblicamente, come un esercito schierato a battaglia.
Vogliosa di tornare la città felicissima ma sempre in bilico, pronta
a deragliare verso la Palermo irredimibile di sciasciana memoria.
Padre
Pino Puglisi, detto 3P, nota don Corrado, non è stato un "prete
anti-mafia", ma un uomo, un cristiano, un sacerdote che ha
vissuto fino in fondo il Vangelo là dove il Signore l'ha voluto. E
questo ha dato fastidio alla mafia, lo ha reso insopportabile come la
vista del giusto per i peccatori. Il cuore dell'eredità di don Pino
è allora il ritorno al Vangelo "sine glossa" che ci fa
essere porta, casa, ospedale, campo, oratorio soprattutto per coloro
di cui abbiamo la responsabilità della formazione, i bambini. Ma
anche per i poveri, gli ultimi della città degradata.
I bambini e i poveri: per
queste due categorie visse don Pino e per loro diede la vita. "Con
i bambini siamo ancora in tempo", diceva quando spiegava il
suo progetto pastorale che portò alla fondazione del Centro Padre
Nostro. E a me – che ho avuto la grazia di averlo come amico e
direttore spirituale per 15 anni - una volta spiegò: "Non
riesco a immaginarmi in una Chiesa che non sia in mezzo ai poveri",
per giustificare il suo rifiuto di un incarico come parroco in un
quartiere-bene di Palermo.
Qui c'è un filo rosso che
unisce Papa Francesco, don Pino e don Corrado che in questo libro
riprende e riporta a unità nella figura del martire i temi che
attraversano le sue precedenti opere: Dossetti e Lercaro. La
Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano
II, Milano 2011; La compagnia del Vangelo. Discorsi e idee di
don Pino Puglisi a Palermo, Reggio Emilia 2014; La povertà
della Chiesa, Marzabotto (Bo) 2017; Il volto di una Chiesa
povera, Cinisello Balsamo (Mi) 2018.
La
scelta di povertà di padre Pino Puglisi è infatti un tema tornato d’attualità
– all’interno del clero e non solo – dopo che Papa Francesco,
appena eletto, ha detto di volere «una Chiesa povera e
per i poveri». 3P non aveva conto in banca, viveva in una casa
popolare in affitto, piena solo di libri e che non aveva mai pensato
a riscattare. Aveva una Fiat Uno scalcagnata, comprata al mercato dell’usato.
Quando lo andavamo a trovare di sera a casa ed eravamo a ridosso
dell’orario di cena, portavamo tacitamente qualcosa da mangiare
(magari anche le pizze che gli piacevano molto). Perché sapevamo che
nel suo appartamento potevamo trovare solo qualche scatoletta e, nel
frigo perennemente vuoto, le solite olive nere e un pezzo di salame.
A volte lo invitavamo a cena a casa nostra: mia moglie preparava il
pollo con le patate e lui mangiava solo le patate, scusandosi. Alla
carne infatti preferiva le zuppe. E le sue preferite erano quelle di
lenticchie. Il suo stipendio di insegnante serviva a pagare il mutuo
che era
stato acceso per acquistare la palazzina del Centro Padre Nostro.
Ciò che rimaneva e quel che gli toccava come parroco era
diviso per i mille bisogni del quartiere. Credo che nessuno possa
dire di averlo mai visto chiedere soldi per amministrare un
sacramento (a proposito delle tariffe in uso in molte parrocchie, esecrate
da Papa Francesco). Durante le sue messe, il
cestino per le offerte non veniva fatto passare tra i banchi ma
era collocato in un angolo. «Ho
visto troppa gente –
mi disse
– allontanarsi
dalla Chiesa perché sentiva troppo odore di soldi».
La sua era una scelta di povertà francescana vissuta con
consapevolezza e non ostentata ma evidente a tutti. In tanti anni
credo di averlo sempre visto col suo logoro giubbotto blu e mai con
un cappotto, nonostante il freddo intenso che c’era nelle aule del
liceo Vittorio Emanuele II dove insegnava. Una volta alcuni studenti
gli regalarono un maglione griffato e lui, con molto tatto, fece
capire che quel dono andava cambiato con "qualcosa
di più modesto".
La
scelta di abbracciare da povero i poveri deriva in don Pino dalla
stagione conciliare. I laici possono infatti chiedersi in cosa
consista la scelta preferenziale per i poveri da parte della Chiesa.
Si tratta di un empito di buonismo? Di un “animus” da
benefattori? Ha scritto don Corrado nel suo volume La
compagnia del Vangelo:
"Nella persona di Puglisi riemerge l’esigenza sorta al
Concilio (ben lungi ancora dall’essere recepita) di una Chiesa
povera e dei poveri...disseppellita ora con efficacia di segni e
parola da Papa Francesco. Puglisi si è sentito chiamato, rispondendo
con prontezza e totalità, a farsi povero nella logica
dell’amore infinito (smodato!) di Dio in Cristo Gesù. Per
don Puglisi – scrive ancora l'arcivescovo di Palermo – i poveri non
sono solo destinatari di sostegno economico, ma inconfutabile luogo
teologico". Nel nuovo libro questi concetti vengono sviluppati
alla luce della tante prese di posizione di Papa Francesco: nella
Chiesa povera c'è la scelta di rinunziare alle proprie sicurezze, di
affrancarsi dai compromessi con i poteri di questo mondo, di
esprimere piena solidarietà con quanti cercano la giustizia, la
libertà e la pace. Don
Puglisi, con la sua scelta della povertà, al di là delle parole, ha
pro-vocato non
solo la sua comunità parrocchiale ma altresì la
Chiesa palermitana e dell’intera Isola a riscoprire la sua nativa chiamata
a essere povera, con e per i poveri. 3P era convinto che
solamente somigliando a Cristo povero, la Chiesa rivela al mondo,
nella sua stessa carne, la logica del Regno. Da qui l'autodefinizione
di don Pino: "Non sono un teologo, non sono un biblista, sono
solo uno che ha cercato di costruire il Regno di Dio". E se Papa Francesco viene oggi contestato anche dentro la Chiesa, riflette don
Corrado, è proprio per la scomodità di queste indicazioni, che si
applicano in primis alla tragedia generazionale dei migranti. In
conclusione, don Pino metteva quotidianamente in pratica nella sua
umile vita uno stile che ora deve diventare un modello pastorale che
passa attraverso questi punti, tutti scomodissimi quanto le parole
del Pontefice:
- la povertà personale per essere credibile e non solo credente (di chi non teme di portare ai piedi scarpe bucate);
- la preghiera e le missioni popolari tra la gente (per annunciare Gesù casa per casa);
- la formazione dei volontari (per un vero servizio disinteressato);
- l’analisi anche scientifica dei bisogni del territorio (grazie all’apporto di esperti professionali);
- la trasparenza dei conti della parrocchia (quanti rischi da evitare, legati all’amministrazione dei soldi in chiesa!);
- la moralizzazione delle feste popolari (non si possono ammettere sprechi di denaro per cantanti e fuochi d’artificio);
- il controllo delle confraternite e dei percorsi delle processioni (basta con gli inchini sotto certi balconi);
- l’essere coscienza critica delle autorità civili dormienti o colluse (evitando ogni forma di collateralismo con i partiti).
Sono
queste le vere sfide per la Chiesa se vorrà incarnare sul serio la
lezione di padre Puglisi e trasformare le sue ferite nelle stimmate
della resurrezione. Il dono del martirio in un seme di rinascita
evangelica.
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