di Francesco Deliziosi
Da
sconosciuto prete di periferia a Beato della Chiesa cattolica, citato
più volte da tre Papi in Sicilia. Padre Pino Puglisi, 3P per i suoi
giovani, si sarebbe di certo schermito, opponendo uno dei suoi
proverbiali sorrisi a cotanto omaggio ecclesiale. Nella sua modestia
avrebbe preferito restare tra i suoi bambini di Brancaccio piuttosto
che ascendere agli altari. Infatti, quando qualcuno gli si avvicinava
chiamandolo "monsignore...", rispondeva: "Monsignore
lo dici a tuo padre", anzi "a to' patri". Ma i mafiosi
che lo affrontarono sotto casa il 15 settembre 1993, giorno del suo
56° compleanno, non gli diedero scelta, uccidendolo con un colpo
alla testa.
Quella
sera ero al lavoro in redazione al Giornale di Sicilia e cominciarono
ad arrivare le telefonate dei corrispondenti dei quotidiani
nazionali. Tutti i colleghi mi chiedevano: "Ma chi era questo
padre Puglisi?". Perché si era sparsa la voce che ero uno dei
pochi a conoscerlo. Scrissi un suo profilo, quello che in gergo è
chiamato coccodrillo. Ma le lacrime non erano finte.
Per
mio tramite, proprio sul Giornale di Sicilia, ai primi di luglio di
quell'anno, era stata pubblicata l'unica intervista di padre Pino (a
firma di Delia Parrinello) in cui il sacerdote raccontava il clima di
minacce e intimidazioni a Brancaccio. Dopo quell'articolo gli fu
offerta una scorta, ma lui la rifiutò.
Parlò
di lui Giovanni Paolo II ai primi di novembre del '94, a Catania e
Siracusa (quarta delle cinque visite di Wojtyla in Sicilia),
definendolo "coraggioso testimone del Vangelo". E in
colloqui privati con i biografi il Papa si disse consapevole di un
probabile collegamento (una vendetta) tra l'omicidio di Puglisi e il
suo famoso "Convertitevi!" rivolto ai mafiosi a maggio
dello stesso 1993 dalla Valle dei Templi.
Nel
'98 il cardinale Salvatore De Giorgi avviò la causa di
beatificazione, che ebbe l'impulso decisivo con la nomina, da parte
del cardinale Paolo Romeo, del nuovo postulatore, mons. Vincenzo
Bertolone, col quale ho avuto l'onore di collaborare nella raccolta
di documenti e testimonianze. Fino a dissipare i dubbi della
Congregazione per le cause dei santi. Fu Benedetto XVI a seguire da
vicino l'iter del riconoscimento del martirio di Pino Puglisi, di cui
il Pontefice tedesco parlò con accenti commossi durante la visita a
Palermo (3 ottobre 2010). Ed è infine toccato a Papa Francesco
firmare il decreto della beatificazione (proclamata il 25 maggio
2013) per poi venire a onorare la sua memoria in Sicilia il 15
settembre 2018 per il 25° del delitto.
Sarebbe
piaciuto a Bergoglio un prete come Pino Puglisi. Un prete «povero
che voleva una Chiesa per i poveri». Il sacerdote conosceva «l’odore
delle sue pecore» (altra splendida espressione di Francesco) e
sapeva dove cercarle: nei vicoli sporchi, nei tuguri senza fogne.
Amava gli «scarti» della società, come i migranti che il Papa è
andato a commemorare a Lampedusa, primo viaggio in Sicilia e in
assoluto, all'alba del suo Pontificato rivoluzionario e (forse
proprio per questo) tanto discusso.
La
scelta di padre Puglisi era di una povertà vissuta con
consapevolezza francescana e non ostentata ma evidente a tutti. Non
aveva conto in banca, viveva in una casa popolare in affitto piena
solo di libri, aveva una mal ridotta Fiat Uno rossa, comprata al
mercato dell'usato. Il suo stipendio di insegnante serviva a pagare
il mutuo che era stato acceso per acquistare la palazzina del centro
Padre Nostro. Aveva il serbatoio dell’auto sempre pieno (per poter
accorrere dove era necessario il suo aiuto, anche di notte). E il suo
frigorifero invece era sempre vuoto. Ma la Provvidenza si manifestava
immancabilmente sotto forma di un piatto caldo offerto da un amico.
E
si può fare ancora un parallelo con quanto detto da Papa Francesco
che ha invitato i sacerdoti a «consumare la suola delle scarpe».
Padre Puglisi morì infatti con le scarpe rotte. Gli amici che videro
il suo corpo riverso per strada ricordano ancora quelle suole bucate.
E dire che il sacerdote, figlio di un calzolaio, avrebbe saputo
ripararle, quelle scarpe vecchie. Ma il suo tempo era tutto donato
agli altri, non lasciava per sé neanche quei pochi minuti necessari
per risuolare i suoi consunti mocassini.
Con
grande coraggio e coerenza il sacerdote mise alla porta gli
organizzatori di feste di piazza pseudo-religiose che costavano
decine di milioni di lire. Stesso destino per i politici collusi che
utilizzavano la parrocchia come grancassa elettorale. Cambiò il
percorso della processione per evitare «l'inchino» davanti alla
casa dei boss, i fratelli Graviano. Rifiutò offerte da imprenditori
complici dei mafiosi, organizzò manifestazioni per ricordare Falcone
e Borsellino.
In
una sua conferenza emerge una analisi acuta e profetica: «Malgrado
tutte le sue mimetizzazioni, la mafia è una cultura e una mentalità
antievangelica e anticristiana, addirittura, per tanti aspetti,
satanica: essa falsa termini che indicano valori positivi e cristiani
come famiglia, amicizia, solidarietà, onore, dignità, li distorce e
li carica di significati diametralmente opposti a quelli cristiani».
Solo anni e anni dopo i vescovi sono arrivati su queste posizioni a
proposito degli «inchini» delle processioni e della mafia, definita
incompatibile col Vangelo: quanto cammino, grazie al sangue di 3P,
rispetto ai silenzi e alle colpevoli sottovalutazioni della Chiesa
negli anni '50, '60 e oltre.
Per
questa sua opera instancabile di evangelizzatore ed educatore dei
giovani, padre Pino fu ucciso. Gli assassini hanno «odiato la sua
fede». E il sacerdote è diventato la prima vittima della mafia a
essere martire della Chiesa. Il 15 settembre 1993 è un punto di
svolta. Per arrivare alla proclamazione del martirio è stato infatti
necessario stabilire che i mafiosi (col rito di affiliazione, la
«punciuta») rinnegano il battesimo cristiano ed entrano a far parte
di un'altra religione, in cui il Padrino ha preso il posto del Padre.
Il martirio ha finalmente gettato fuori dal Tempio i mafiosi. Subito
dopo la beatificazione, Bergoglio ha invitato così i mafiosi alla
conversione: «Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito
specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il
Vangelo li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di
sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto, con
Cristo risorto».
Giornale di Sicilia 7 giugno 2020 (Speciale 160 anni)
Il giornalista è autore dei libri "Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso", riconosciuta come la biografia più completa, e "Se ognuno fa qualcosa si può fare molto" (che raccoglie gli scritti del sacerdote-martire). Entrambi i volumi sono pubblicati da Rizzoli, i diritti d'autore sono devoluti in beneficenza.
Questa figura di santità ha saputo mettere sempre avanti a sè gli altri, e poi se stesso, anche di fronte il dono dell vita. Don Pino Pugliusi sia un esempio per l'intere famiglia dell'umanità. Gabriella Gigli
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