di Francesco Deliziosi
Padre Pino Puglisi continua a essere una spina nel fianco per la mafia a quasi 28 anni di distanza dall'omicidio. Tanto che persino la beatificazione del sacerdote provoca rabbia, la proclamazione del suo martirio da parte della Chiesa viene pesantemente criticata.
Nelle carte dell’inchiesta che ha portato all'arresto di Giuseppe Calvaruso, bloccato all’aeroporto Falcone Borsellino il giorno di Pasqua e ritenuto il nuovo boss del mandamento di Pagliarelli, c’è spazio anche per un aggiornamento sul clan di Brancaccio. E per un riferimento esplicito a padre Puglisi.
Ecco l'intercettazione agli atti dell'indagine, datata 14 settembre 2019 (siamo proprio alla vigilia dell'anniversario del delitto che avvenne il 15 settembre del 1993). A bordo di una Mercedes viaggiano due degli uomini coinvolti nel blitz. Uno dei due chiede: «Ma chi comanda a Brancaccio?». E l'altro parla di «u Ciolla, cugino dei fratelli Graviano». Per gli inquirenti si tratta di «Antonio Lo Nigro, detto Tonino, pregiudicato per associazione di tipo mafioso e altri reati».
In queste frasi c'è un primo importante elemento: anche se arrestati nel 1994 e da allora in carcere, Giuseppe e Filippo Graviano - condannati all'ergastolo in via definitiva come mandanti dell'omicidio del sacerdote - continuano a comandare nel quartiere attraverso un familiare. E di loro si parla con il dovuto rispetto.
«Ah...Loro in galera muoiono», ragionano infatti i due, con compassione. E uno aggiunge: «Minchia, hanno ammazzato un Santo, padre Pino Puglisi hanno ammazzato... però quello che lo ha ammazzato è pentito...». L'altro a questo punto dà sfogo alla sua rabbia: «Ma Santo di che? Ha fatto miracoli? Una volta ti facevano Santo quando facevano i miracoli le persone...».
Da un lato trapela disprezzo per Salvatore Grigoli, il killer che premette il grilletto in piazzale Anita Garibaldi la sera dell'agguato, che è diventato un collaboratore di giustizia. I due boss sono destinati a morire in cella, lui è libero.
Dall'altro appare evidente che la beatificazione è un boccone che non va giù. Quali miracoli ha fatto il prete per meritarla?
Quella che non viene digerita, in realtà, è la proclamazione del martirio: infatti il sacerdote è stato elevato agli altari dalla Chiesa nel 2013 non per un miracolo, cioè una guarigione ottenuta per la sua intercessione. Ma per l'odium fidei: è stato cioè dimostrato che il parroco di Brancaccio venne ucciso per far tacere la voce della sua fede, perché portava il Vangelo per le strade del quartiere e nel cuore dei giovani, in maniera instancabile. Martire come i missionari trucidati in Africa, come padre Massimiliano Kolbe fatto morire di fame dai nazisti ad Auschwitz.
Per la Chiesa riconoscere Puglisi come martire è stato come dire che non si può essere insieme cristiani e mafiosi. Tutti i mafiosi sono stati - finalmente - gettati fuori dal Tempio, occupato abusivamente e subdolamente con tanto di santini bruciati e bibbie del padrino e processioni asservite con l'inchino al balcone del boss di turno.
E' stato applicato concretamente il principio, già espresso nei documenti dei vescovi siciliani subito dopo il delitto Puglisi, che mafia e Vangelo sono incompatibili. Riscattando nel sangue del parroco di Brancaccio un passato dove non si possono negare le sottovalutazioni e le mancate denunce.
L'intercettazione trascritta combacia con altre esternazioni di mafiosi. Il boss Leoluca Bagarella, secondo le dichiarazioni di un collaboratore, all'epoca ha sintetizzato così il movente del delitto: il sacerdote "predicava tutta a iurnata e si portava i picciotti cu iddu". Tutto il giorno evangelizzava (non solo durante le messe, quindi) e i ragazzi di Brancaccio erano affascinati dalle sue parole, tanto da seguirlo fino alla chiesa di San Gaetano o al Centro Padre Nostro. E "non andavano più ad ascoltare i discorsi di Cosa Nostra". Il parroco era sempre in strada, fuori dall'ombra del campanile, e i fratelli Graviano furono anche rimproverati da Bagarella "perché ci avevano perso tempo a levarlo di mezzo".
Intercettato in carcere, anche Salvatore Riina di padre Puglisi pensava proprio questo. Dopo aver minacciato di morte don Luigi Ciotti, il "capo dei capi" lo paragona al parroco di Brancaccio e ricorda: "Il quartiere lo voleva comandare iddu. Ma tu fatti il parrinu, pensa alle messe, lasciali stare...il territorio...il campo...la Chiesa...lo vedete cosa voleva fare? Tutte cose voleva fare iddu!".
A padre Pino Puglisi la mafia rimprovera di non essere un Santo tradizionale "che fa i miracoli". Di non far parte di una Chiesa devozionale e solo taumaturgica che fa calare dall'alto una soluzione miracolistica, senza il coinvolgimento e la trasformazione delle coscienze. Gli si rimprovera, da vivo, di non essere stato un "parrino che campa e fa campari" (il che sarebbe stato ben accetto dalla mafia). Gli si rimprovera, da morto, di non essere un Santo rassicurante e inoffensivo da imbalsamare e mettere in una nicchia in chiesa e al quale chiedere di scacciare il malocchio o vincere la lotteria, reincarnazione di maghi e stregoni. Per questo padre Pino è ancora una spina nel fianco per i mafiosi. Ed è bene che sia così: per la loro religiosità distorta un sempiterno ed evangelico segno di contraddizione.
Giornale di Sicilia 20 aprile 2021
Complimenti caro Francesco: analisi puntuale e ... profetica. Un abbraccio
RispondiEliminaDon Cosimo Scordato
mi rivedo in questa foto, ne sono ancora più convinto di quanto ne fossi allora
RispondiEliminaAlessandro Basso
La mafia è opera di satana, è normale che Don Pino Puglisi sia scomodo!!!
RispondiEliminaEdo Valerio
Bene, così dev'essere, le parole e l'esempio di Don Pino devono essere d'ispirazione alle persone oneste e ossessione e rimorso di coscienza per i mafiosi
RispondiEliminaMaria Giovanna Canale
Forse è più scomodo da morto che da vivo
RispondiEliminaRuggero Papini