Lo storico don Francesco Michele Stabile
"La Chiesa sotto accusa", saggio di don Francesco Michele Stabile, ripercorre in una analisi socio-politica cento anni di storia della Chiesa siciliana alla luce dei rapporti con la mafia, delle sottovalutazioni e delle infiltrazioni subite. Ecco una recensione del libro.
di Francesco Deliziosi
La parola mafia si trova per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa siciliana nel 1964: è la Lettera Pastorale di Pasqua del cardinale Ernesto Ruffini. La mafia esisteva da almeno cento anni. Come si spiega questo lieve ritardo? E' il punto di partenza dell'ultimo e monumentale studio dello storico don Francesco Michele Stabile, «La Chiesa sotto accusa», 546 pagine (Il Pozzo di Giacobbe), che ripercorre il periodo che va dal 1861, l'Unità d'Italia, al 1965, quando si concluse il Concilio Vaticano II e in Sicilia c'era la prima guerra di mafia (la strage di Ciaculli è del '63).
Il Cardinale Ernesto Ruffini in una foto dell'ordinazione di don Pino Puglisi |
La storiografia e le inchieste giornalistiche hanno finora concentrato le attenzioni sui tempi più recenti, questo studio viene a colmare una lacuna e punta – scrive l'autore – «a entrare nella complessità di una realtà che si presenta molto variegata per capire, non per giudicare». Nella consapevolezza «di una vulgata quasi scontata di una Chiesa imputata di non avere colto il male di mafia e di non averlo combattuto, anzi di esserne stata a volte connivente in alcuni suoi preti».
Già basterebbe questo incipit per invogliare alla lettura di un saggio che è avvincente, documentatissimo e attraversa cento anni della nostra storia senza infingimenti ma anche senza pregiudizi. Vengono enumerati i casi eclatanti (come quello dei frati di Mazzarino), analizzati i lunghi silenzi e le sottovalutazioni (le posizioni di Ruffini) ma l'autore non si adegua allo stereotipo secondo cui la storia della Sicilia e della sua Chiesa viene a coincidere tout court con la storia della mafia. «Incontriamo in questi cento anni – scrive don Stabile – peccatori, martiri e profeti. Mi pare, nonostante rilevanti limiti e ritardi, sia da correggere una immagine di Chiesa totalmente agnostica sulla mafia, tutta indifferente, tutta tollerante, tutta compromessa con la mafia come sembra risultare da certe ricostruzioni giornalistiche. Il mondo ecclesiale ha vissuto purtroppo nel bene e nel male sul fronte della mafia fino al Concilio le stesse incertezze, la stessa indifferenza, gli stessi limiti di comprensione, i silenzi e, in alcuni casi, i compromessi che erano propri di tutta la società siciliana».
Non mancano, e sono ampie e dettagliate, le critiche a esponenti del clero e della Dc che favorirono il protrarsi della cecità nei riguardi del fenomeno mafioso. Ma sono numerosi anche gli esempi di coloro che, in anticipo sui tempi della giustizia, seppero pronunciare parole profetiche. Come don Luigi Sturzo che in un articolo pubblicato a Caltagirone il 21 gennaio 1900 scrive con sorprendente attualità che «la mafia stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica. La mafia oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, costringe uomini, creduti fior d'onestà, ad atti disonoranti e violenti». Emerge dallo studio di don Stabile che in realtà «la maffia, i cui appartenenti si dedicano a crassazioni, latrocinii, omicidi», è citata già nel 1926 in una allarmata relazione riservata inviata da Palermo al Papa dal cardinale Alessandro Lualdi. E che - prima di arrivare a Pappalardo - diversi vescovi (Peruzzo, Petralia) ebbero atteggiamenti di fermezza e giudizio lucido e severo sui mafiosi.
Il Cardinale Salvatore Pappalardo con don Pino Puglisi nella Chiesa di San Gaetano a Brancaccio |
Così come viene dimostrato che sulla stampa cattolica siciliana di mafia si scriveva e a viso aperto, in largo anticipo sulle posizioni ufficiali (una citazione merita il compianto Nino Barraco). Impossibile sintetizzare qui un volume che è una pietra miliare per chi vorrà informarsi o studiare e approfondire la spinosa materia. Non si può omettere tuttavia la pietas con cui don Stabile descrive quei numerosi sacerdoti che nel primo ventennio del Novecento furono uccisi dalla mafia per la loro azione sociale a sostegno dei poveri nei paesi e dei contadini nelle campagne. Martiri ante litteram che la Chiesa dovrebbe riscoprire e additare come modelli, così come è stato fatto per don Pino Puglisi, ucciso nel 1993. Non a caso il volume si chiude con una citazione del primo documento dei vescovi siciliani in cui si enuncia il principio secondo cui la mafia è incompatibile col Vangelo, posizione poi ribadita da Benedetto XVI e Francesco. Per poter leggere questo documento si è dovuto aspettare il 1994, l'anno dopo l'omicidio del parroco di Brancaccio.
Un ritratto di don Puglisi collocato in Cattedrale a Palermo durante una mostra
(Giornale di Sicilia, 14 ottobre 2022)
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