Un incontro per ricordare don Pino Puglisi a Messina nella periferia del quartiere Bordonaro (Case Gialle) dove è fortissima la devozione per il sacerdote martire. Ecco un articolo che ne fa un resoconto
Messina
Quest’anno ricorre il trentennale della morte di don
Pino Puglisi, parroco di Brancaccio, ucciso il 15 settembre 1993, vittima della
ferocia della mafia. La figura del sacerdote martire, è legata a doppia mandata
con Messina e la sua provincia. La madre di don Pino era originaria di Patti ed
aveva vissuto a Piraino, a lui sono intitolati edifici e strade, e una
fondazione antiusura. Nella chiesa Madonna delle Lacrime in via Santo Bordonaro
è conservata una reliquia con una goccia di sangue del beato, molto venerata dai
fedeli ed una via del rione Gescal porta il suo nome.
Proprio nel sagrato della
chiesa retta da padre Giuseppe Di Stefano, don Puglisi e il suo messaggio sono
stati ricordati attraverso le parole ed i racconti di Francesco Deliziosi,
caporedattore del Giornale di Sicilia, allievo di don Puglisi, che ha scritto la
biografia e raccolto gli scritti del sacerdote, collaborando con il postulatore
per la causa di beatificazione. Deliziosi - che gli ha dedicato due libri, “Pino
Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso” e “Se ognuno fa
qualcosa si può fare molto” -, è uno dei tanti giovani che agli inizi degli anni
Novanta era a fianco del sacerdote.
Era il suo insegnante di religione, il suo
confessore ed ha anche benedetto le sue nozze. Seguirlo a Brancaccio è stato
naturale: «non facevamo cose eroiche - racconta - frequentavamo le messe ma poi
ci ha coinvolto nel volontariato ed abbiamo vissuto la stagione delle minacce».
Il ricordo delle intimidazioni, le aggressioni fisiche subite dal sacerdote è
ancora vivo.
«All’epoca già lavoravo al Giornale di Sicilia. Quando fu ucciso
era il giorno del suo compleanno, ricordo che gli avevamo regalato una
segreteria telefonica, allora era un oggetto di lusso, volevamo evitargli le
telefonate notturne con minacce di morte, ma lui non è scappato, è andato
incontro coscientemente al sacrificio della vita. Tutti ci siamo chiesti perché.
Sono passati 30 anni e tutto quello che è successo dopo, soprattutto la diversa
valutazione della chiesa del fenomeno mafioso, è anche frutto del sangue di
Puglisi».
Porta tre esempi che furono altrettante battaglie di Puglisi: la
deviazione delle processioni, lo stop a madrine e padrini dei battesimi e delle
cresime e le confraternite. Il messaggio di don Puglisi è presente nelle
periferie anche quando Stato e società civile latitano: «di queste persone –
dice Deliziosi – importa ai sacerdoti come don Giuseppe di Stefano, che è qui
ispirato dalla figura di don Puglisi andato a Brancaccio dopo che sei sacerdoti
palermitani avevano rifiutato di andarci. Mi ha raccontato che prima di lui
numerosi sacerdoti avevano rifiutato di venire qui».
C’è poi il rapporto con i
giovani, Deliziosi definisce padre Puglisi «un Don Bosco dei nostri giorni».
«Oggi – spiega –, i giovani non sono soltanto quelli del branco di Palermo e
della violenza sulla povera ragazza ma sono anche i tanti giovani che vanno a
Lisbona a seguire il Papa. Don Pino è stato un punto di riferimento per i
giovani perché dava valori, dietro lo stupro di Palermo c’è la totale assenza di
valori».
Don Pino ha avuto giustizia? «I processi penali si sono conclusi con
condanne definitive, rimane un quadro storico che va chiarito ancora meglio».
Secondo Deliziosi c’è un filo rosso che lega alcuni fatti del 1993: l’anatema
del papa nella Valle dei templi contro i mafiosi, le bombe davanti alle chiese
di Roma e l’omicidio di Don Puglisi: «don Pino viene ucciso per la sua attività
a Brancaccio ma secondo me è molto forte la volontà della mafia di vendicarsi di
Papa Wojtyła, succede tutto in pochi mesi e questo, credo, che l’abbiamo capito
tutti». (Gazzetta del Sud 27 agosto 2023)
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