domenica 6 ottobre 2024

Addio a Mario Romano, uno dei volontari più vicini a don Pino Puglisi a Brancaccio

 

Mario Romano

«Non ci sarà un giorno nel quale io non penserò a lui. Ci volevamo molto bene. Eravamo fratelli per quello che avevamo passato, rischiato, e fino all’ultimo l’ho visto soffrire. Non solo per problemi di salute. Diceva: “Qui è peggio di prima”. Era molto deluso. Ha cercato di lottare fino all’ultimo». Con queste parole Pino Martinez ha voluto ricordare Mario Romano, suo strettissimo compagno di lotta nella trincea di una Brancaccio sotto il controllo del piombo mafioso, morto il 27 settembre scorso fa all’età di 76 anni. 

Romano, come Martinez e Pino Guida, venivano chiamati «i ragazzi di padre Pino», ma loro, la testa, la avevano alzata ben prima dell’arrivo del prete e continuarono a tenere la schiena dritta anche dopo l’omicidio Puglisi, avvenuto il 15 settembre del ‘93. Guardarono negli occhi, nelle aule di tribunale, i fratelli Graviano, capi mandamento di Brancaccio, il killer di 3P, Salvatore Grigoli, detto u cacciaturi. 

«Nel 1990 creammo un gruppo di cittadinanza attiva - spiega Martinez - il comitato Intercondominiale: la nostra prima sfida, vinta, fu sulla fognatura che ai tempi nel quartiere non esisteva. I lavori erano fermi e presentammo esposto alla Procura che intimò di concludere il cantiere. Fu la nostra prima vittoria». Da quel momento il gruppo cresce, piano piano: i tre guidano un gruppetto di residenti che credono nella legalità e in una riqualificazione del proprio quartiere, sfidando il potere mafioso infiltrato soprattutto nelle stanze della politica. Nell’ottobre del ‘90 Puglisi viene inviato nella parrocchia di San Gaetano: il prete e il comitato inciampano l’uno nelle vite dell’altro e nel marzo dell’anno successivo «chiedemmo a Puglisi di aiutarci, di sostenerci». Il resto è storia e una lunga lista di incontri e battaglie vinte che «nel quartiere hanno crearono un solco - spiega Martinez - la gente si rivolgeva sempre di più a me, Mario e Pino Guida, passando da padre Pino e alla mafia stava venendo a mancare il terreno sotto i piedi». Tanto che il 29 giugno del 1993, tre mesi prima dell’omicidio del prete, furono vittime di una pesante intimidazione. «I Graviano ordinarono di bruciare le porte di casa mia, di Mario e Pino - ricorda - la loro fu una minaccia precisa. E la stessa notte bruciarono la saracinesca di un tabacchi. Il significato era: noi siamo i padroni, non ascoltate chi parla di legalità. Padre Pino è stato ucciso perché il binomio che si era creato tra noi e lui era ormai troppo fastidioso». Adesso l’ultimo desiderio: far riprendere i lavori della chiesa sempre desiderata da Puglisi, la cui prima prima pietra è stata posata e benedetta da Papa Francesco dieci anni fa. Dall’arcidiocesi fanno sapere che stanno lavorando per comprendere come mai i lavori si siano arrestati.

Davide Ferrara

Giornale di Sicilia 3 ottobre 2024

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